Sul fronte libico, quella a cavallo di Pasqua appare una settimana importante sotto un profilo diplomatico a dispetto di una situazione militare di fatto entrata in fase di stallo. L’elemento più importante è l’ingresso degli Usa nel dossier grazie alla chiamata del presidente americano al generale Khalifa Haftar: Trump sembra adesso voler gestire una situazione che, come più volte ricordato, segna attualmente una grossa battuta d’arresto degli sforzi e dei piani europei.

La visita di Al Sisi a Washington

Tutto nasce dallo scorso 9 aprile, almeno stando alle ultime ricostruzioni inerenti il complesso scenario libico: quel giorno il presidente egiziano Abdel Fatah Al Sisi atterra a Washington edincontra il suo omologo americano. I colloqui ovviamente non possono non riguardare anche la Libia: Al Sisi sostiene Haftar, ma non sembra interessato ad aiutarlo ad arrivare fino a Tripoli. Tuttavia, il governo de Il Cairo, alleato anche dei Saud che finanziano in gran parte l’operazione di Haftar volta a prendere la capitale libica, fa presente l’importanza di un’azione Usa sul paese nordafricano. Quando Al Sisi è negli Usa, il generale della Cirenaica sembra avanzare nei dintorni di Tripoli, ma si intuisce che qualcosa non va per il verso giusto: molte milizie della città non sono pronte a sostenerlo ed il suo esercito non appare in grado di avanzare verso il centro. Una fase di stallo che inizia a profilarsi ed a contrassegnare lo scenario attuale.

Per questo Al Sisi, che vede Haftar dieci giorni dopo nel suo palazzo presidenziale, secondo i media egiziani sollecita un intervento diplomatico Usa a Trump, anche per evitare di trascinare nel pantano l’alleato saudita finanziatore del generale. E così da Washington si inizia in qualche modo a pensare ad un cambio di rotta sulla questione libica.

Cosa chiede Trump ad Haftar per il sostegno

Nel frattempo il presidente americano riceve anche la chiamata del premier Giuseppe Conte, i retroscena sono stati raccontati nei giorni scorsi: gli Usa possono aiutare l’Italia in Libia, se Roma è disponibile al sacrificio sul Venezuela e quindi a riconoscere come presidente Guaidò a scapito di Maduro. Trump sa bene che quello che occorre al governo italiano è la fine dei combattimenti, allontanando la prospettiva di una presa manu militari di Tripoli da parte di Haftar. Il sopra citato stallo militare, potrebbe agevolare la situazione: Trump sa che una tregua per il generale sarebbe una mezza sconfitta e dunque occorre garantirgli una via d’uscita onorevole. Gli Usa si farebbero carico dunque di entrambe queste necessità: da un lato quella italiana di vedere le ostilità cessare, dall’altro quella di Haftar di “camuffare” la mancata presa di Tripoli.

Ed allora, quello che Trump chiede al generale è proprio questo: interrompere i combattimenti, in cambio gli Usa possono lavorare per “vestire” su misura l’abito libico addosso ad Haftar. In poche parole, fare ottenere politicamente al generale ciò che in questi giorni prova a conquistare militarmente. Se si vira verso un cessate il fuoco, allora è possibile programmare un percorso che porti alla consacrazione politica di Haftar, data dall’impegno anti terrorismo riconosciuto dallo stesso Trump all’uomo forte della Cirenaica. Una mediazione, quella Usa, che potrebbe servire quindi a far avanzare Haftar ma solo sotto un profilo meramente politico.

I combattimenti intanto continuano: il generale vuole provare ancora a forzare la mano puntando sulle divisioni interne alle milizie rimaste fedeli al governo di Al Sarraj. In poche parole, gli effetti del ritorno Usa nello scacchiere libico potrebbero vedersi solo a lungo termine: per adesso, la parola è soltanto data alle armi.

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