Sempre più veloce l’evoluzione dello stato delle cose in terra libica: dopo l’annuncio delle dimissioni di Fayez al Sarraj e i rumors sempre più insistenti sul ritorno al potere della famiglia Gheddafi, il vicepremier del Governo di accordo nazionale, con sede a Tripoli, Ahmad Maiteeq, ha annunciato la decisione di ripristinare la produzione ed esportazione di petrolio “per alleggerire le sofferenze dei cittadini”. Dopo oltre 240 giorni, il blocco dei terminal di esportazione e il conseguente stop ai giacimenti ha causato perdite superiori a 9,8 miliardi dollari.
L’annuncio
L’annuncio di Maiteeq giunge dal suo profilo Facebook, alla maniera dei leader del mondo 3.0, dopo un simile annuncio televisivo da parte del generale Khalifa Haftar, l’ex uomo forte della Cirenaica. Quest’ultimo ha annunciato una ripresa della produzione ed esportazione del petrolio che lui stesso stava bloccando dal gennaio scorso, “ma ad alcune condizioni”. Lo ha detto lo stesso generale, come precisa l’emittente Al Hadath. Haftar ha annunciato la ripresa dell’export di petrolio “a condizione che non sia utilizzata nel finanziamento del terrorismo”, riferisce fra virgolette anche il sito Al Wasat. Si tratta della prima uscita pubblica di Haftar dopo l’annuncio del capo del Consiglio presidenziale del Governo di accordo nazionale di Tripoli, Fayez al Sarraj, di consegnare i poteri a una nuova autorità esecutiva entro la fine di ottobre.
La notizia, un vero e proprio colpo di teatro nel groviglio libico, ha destato immediatamente la reazione delle Nazioni Unite. L’Onu infatti, secondo le fonti dell’agenzia di stampa Agenzia Nova, sarebbe stata tenuta all’oscuro della trattativa segreta portata avanti dal vicepremier a Sochi, sulle sponde del Mar Nero, in Russia, con Khaled Haftar, il primogenito del comandante dell’autoproclamato Esercito nazionale libico.
Un accordo percepito come un colpo di mano in quel di Tripoli: Maiteeq, infatti, viene percepito come l’uomo del compromesso con il nemico, per giunta senza alcun mandato per poterlo fare. È accaduto più volte, ergo, questo aspetto sorprende pochi. A questo punto è facile presumere che Maiteeq, una volta a Tripoli, possa essere sottoposto a commissione d’inchiesta. La stessa sorte era toccata settimane fa al ministro dell’Interno, Fathi Bashaga, sospeso e sottoposto a indagini sulla sua gestione e sulla repressione violenta delle proteste in corso nella capitale, durante le quali uomini armati hanno sparato sulla folla dei manifestanti. All’interno dell’accordo, anche la questione dei debiti di guerra: il governo della Tripolitania sarà obbligato a pagare i debiti contratti dalla Cirenaica nel recente conflitto.
I sette punti dell’accordo
Secondo il testo dell’accordo pubblicato da Maiteeq sono sette i principi che ne costituiranno l’imbastitura. Innanzitutto, il testo prevede la ripresa immediata della produzione e dell’esportazione di petrolio da tutti i giacimenti e terminal petroliferi. A seguire, verrà formato un pool tecnico che sovrintenderà ai ricavi del petrolio e garantirà una equa distribuzione dei profitti da olio nero. Questo gruppo di tecnici, inoltre, si occuperà di vigilare sull’attuazione dell’accordo nei prossimi tre mesi: il suo lavoro sarà poi valutato alla fine dell’anno e verrà redatta una road map per il 2021. Il terzo punto riguarda le esportazioni, e passa per la scelta di unificare il tasso di cambio o la commissione sulle vendite in valuta straniera, in tutte le transazioni, per tutti gli scopi: niente moltiplicazione dei prezzi, dunque.
I punti 4, 5 e 6 hanno un contenuto prevalentemente bancario e finanziario. Il quarto punto prevede l’avvio del clearing, ovvero di un accordo di compensazione di debiti con crediti fra banche; previsto, inoltre, l’avvio di un sistema di pagamenti nazionali. Il punto numero cinque consentirà l’apertura di crediti e bonifici bancari per tutti gli scopi legali, senza discriminazione tra le parti, ed eguale trattamento di tutte le banche con controlli legali uniformati. Il sesto punto consiste in una strategia di investimento per sfruttare la commissione imposta sul tasso di cambio, così da utilizzarla per finanziare progetti di sviluppo che interessino direttamente i cittadini, in particolar modo nelle regioni lacerate dal conflitto e alle prese con la costosa ricostruzione.
L’ultimo punto, invece, passa per il sostegno alla National Oil Corporation (Noc), mediante la garanzia del riavvio della produzione al suo livello naturale e l’attuazione di nuovi progetti, purché questa nuova fase sia sottoposta a continui monitoraggi per garantire una opportuna attuazione dell’accordo e massima trasparenza. Proprio il presidente della Noc, Mustafa Sanallah, sembra nutrire dubbi circa la bontà del nuovo corso libico: ha annunciato, infatti, di essere intenzionato a non rimuovere lo stato di forza maggiore dai pozzi della Libia finché “i mercenari del gruppo russo Wagner svolgeranno un ruolo nel settore petrolifero nazionale” e i negoziati per la riapertura “si svolgono in modo irregolare e nel caos”. Un messaggio molto chiaro a Maiteeq, agli emissari di Haftar e ai mediatori russi.