Un’area estesa per centinaia di migliaia di chilometri nel deserto del Sahara, contesa tra Tuareg e Tebou, con un sottosuolo colmo di petrolio e una superficie battuta dalle rotte usate per il contrabbando di droga, armi ed esseri umani verso l’Europa, considerata il prossimo rifugio per i jihadisti dell’Isis in fuga da Sirte. È qui, nel Fezzan libico, al confine con l’Algeria, che lunedì sono stati rapiti i nostri due connazionali, Danilo Calonego e Bruno Cacace, assieme ad un cittadino canadese.Per approfondire: In Libia inizia la campagna elettorale di HillaryIl Fezzan è una distesa di sabbia, ciottoli e rocce, grande due volte l’Italia. Un immenso territorio desertico che resta difficilmente controllabile, anche con l’utilizzo delle tecnologie più moderne, come i droni. Difficile da controllare e quindi perfetto come rifugio per i miliziani dell’Isis che scappano dall’assedio di Sirte e che qui, secondo gli analisti, potrebbero stabilire nuove basi da dove far partire i propri attacchi.Dal 2014 il distretto di Ghat, nella parte sud-occidentale del Fezzan, dove sono stati rapiti i due italiani, è teatro degli scontri tra le etnie Tuareg e Tebou. I primi fedeli all’ex governo islamico di Tripoli e i secondi alleati di Tobruk, si contendono il controllo dell’area. Sul territorio, inoltre, operano diversi gruppi jihadisti. Dalla filiale maghrebina di Al Qaeda (AQMI), agli emiri delle katiba (i battaglioni) locali, fuoriusciti da al Qaeda, come quella dell’emiro del Sahara e signore della guerra saheliano, Mokhtar Belmokhtar. Gruppi che conoscono ogni angolo di deserto e che gestiscono i numerosi traffici che corrono lungo le rotte transahariane che attraversano il Fezzan. Le stesse che permettevano, nel Medioevo, agli imperi africani di commerciare con il Maghreb.Per approfondire: Se la Russia punta alla LibiaSulle stesse vie che un tempo trasportavano il sale e l’oro di Timbuctù, oggi i gruppi terroristici trasportano i carichi di droga che arrivano dal Sud America, le armi, le sigarette e i migranti diretti in Europa. Un commercio che rappresenta una delle principali fonti di reddito per le casse dei gruppi jihadisti della zona. Ma se questa è la prima fonte di introiti, quella dei rapimenti per ottenere un riscatto è la seconda. Potrebbe essere questa dunque, una delle ipotesi sulla matrice del rapimento dei due dipendenti della Con.I.Cos di Mondovì. Nell’area sahelo-sahariana i rapimenti di occidentali sono, infatti, molto frequenti, e secondo alcune stime, dal 2003 ad oggi, hanno fruttato ad AQMI centinaia di migliaia di dollari, pagati dai governi per il rilascio dei cittadini occidentali rapiti. Cittadini che, secondo l’Ispi, verrebbero individuati proprio “in base all’attitudine o meno del Paese di provenienza a scendere a compromessi tramite il pagamento dei riscatti”.Per approfondire: Perché Isis si sta trasferendo in LibiaAnche se si tratta solo di supposizioni. Perché finora non è arrivata alcuna rivendicazione. Vista la vicinanza temporale con il lancio dell’operazione Ippocrate a Misurata, in supporto delle milizie impegnate nell’operazione Bunian al Marsus, contro i jihadisti dell’Isis a Sirte, resta aperta anche l’ipotesi della matrice “politica” del rapimento, anche se la pista che porta ai “cani sciolti”, ovvero ad un gruppo di predoni locali che avrebbero rapito i due italiani per soldi, per ora, sembra prevalere su quella che ricondurrebbe il rapimento ai jihadisti dell’Isis. “È difficile, con le informazioni in nostro possesso, stabilire la matrice del rapimento”, spiega Gabriele Iacovino, responsabile degli analisti del Centro Studi Internazionali (CeSi), ed esperto di Libia, sentito da Gli Occhi della Guerra, “Ghat rimane un luogo dove sono presenti sia bande armate, sia esponenti di quel multiforme scenario che è il jihadismo nord africano”. “Probabilmente si può trattare di un rapimento a fini di lucro, ma ciò non toglie che ci sia il rischio che i nostri concittadini possano venir ceduti ad altri gruppi, più afferenti all’universo jihadista”, afferma l’analista.“In questi anni di forte crisi nel Paese, il Fezzan è diventato una terra di traffici, sfruttata da coloro i quali traggono guadagno dal movimentare armi, droga ed esseri umani lungo le rotte desertiche”, spiega Iacovino, “in questo scenario si è andato a sovrapporsi uno scontro tra due delle più grandi tribù di tutta la fascia del Sahel: Tuareg e Tebou”. Secondo l’analista è difficile stabilire se il rapimento possa essere collegato al dispiegamento della missione italiana a Misurata: ”Le dinamiche del Fezzan attualmente poco hanno a che fare con quello che succede sulla costa, se non per lo scontro tra Tuareg e Tebou accennato prima”. “Purtroppo, sembra essere una dinamica locale che in un momento di debolezza ha colpito due lavoratori con una vasta esperienza nel Paese”, afferma l’esperto. “Tutte le strutture istituzionali italiane si sono attivate per cercare subito informazioni riguardo l’accaduto e una rapida soluzione”, spiega Iacovino, “e, come sempre in questi casi, il modo migliore per contribuire e supportare nel nostro piccolo il lavoro delle istituzioni è la riservatezza”.
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