Tripoli, la capitale della Libia. E’ una torrida giornata di estate del 27 agosto nell’ex Jamahiriya del defunto colonello Muammar Gheddafi. I servizi segreti delle potenze straniere interessate al petrolio libico sono in fibrillazione: sta per succedere qualcosa di importante nel Paese perennemente diviso tra due amministrazioni rivali. Una coalizione armata è in procinto di entrare a Tripoli da nord-est e da sud-ovest, contando sull’appoggio delle milizie “transattive” che controllano alcuni quartieri. Dopo il tentato colpo di Stato del 4 aprile 2019, la Libia è di nuovo sull’orlo della guerra civile, la terza in otto anni.
Le parti in campo
Da una parte c’è il Governo di unità nazionale (Gun) del premier uscente Abdulhamid Dbeibah, imprenditore prestato alla politica e membro di una potente famiglia di Misurata. Il suo esecutivo è riconosciuto dalle Nazioni Unite, ma senza troppo entusiasmo: avrebbe dovuto traghettare il Paese alle elezioni del 24 dicembre 2021, mai tenute, e non ha alcuna intenzione di lasciare il potere. La coalizione armata che sostiene il Gun traballa, qualcuno è passato con i rivali, si dice che qualcun altro potrebbe farlo a breve, altri preferiscono non schierarsi. Ci sono tensioni e scontri armati minori da quando il premier ha cacciato il capo dei servizi segreti militari, il generale Osama al Juwaili, ex ministro della Difesa e influente personalità di Zintan, la “città-Stato” della Libia occidentale acerrima rivale di Misurata.
Dall’altra parte c’è il Governo di stabilità nazionale (Gsn) dell’ex ministro dell’Interno Fathi Bashagha, ex pilota d’aerei con buone entrature nei gruppi armati di Misurata. La sua squadra di ministri, tra cui spicca il nome dell’ex ambasciatore di Gheddafi a Roma, Hafed Gaddur, si muove tra Sirte e Bengasi, gode dell’appoggio del Parlamento di Tobruk, del generale Juwaili e soprattutto del “feldmaresciallo” Khalifa Haftar. Quest’ultimo, però, gioca una partita su più tavoli: ha bisogno dei soldi del petrolio per mantenere la sua macchina bellica alimentata dai mercenari russi, ciadiani e sudanesi. E l’uomo forte della Cirenaica ha appena piazzato un suo uomo ai vertici della National Oil Corporation (Noc), l’ente energetico statale libico, grazie a un accordo sottobanco con Dbeibah. Perciò Haftar deve muoversi con discrezione. La sua, del resto, è una partita a lungo termine per garantire la sopravvivenza politica dei due figli: Saddam e Belgacem.
Il ruolo della Turchia
Quella che doveva essere una brillante manovra a tenaglia si è rivelata un completo disastro. Anzitutto gli uomini della forza speciale Rada, rimasti a lungo neutrali, non hanno cambiato casacca come sperava Bashagha. Anzi, hanno svolto un ruolo decisivo per annientare i “cavalli di Troia” degli aspiranti golpisti: le Brigata Nawasi e la Brigata dei rivoluzionari di Tripoli, i cui leader si dice siano fuggiti via mare per evitare la cattura. Secondo, grave errore: la colonna di mezzi e uomini che doveva arrivare da Misurata era poco numerosa ed è bastato chiudere l’autostrada costiera per arrestarne l’avanzata. Terzo errore, conseguenza dei primi due: per entrare da sud-ovest, il generale Juwaili chiedeva come garanzia per entrare a Tripoli la presenza delle forze di Misurata, che però non sono mai arrivate.
Ma più degli errori – pur gravi – di Bashagha, a cambiare le sorti della Libia è stata la Turchia. L’Agenzia Nova riferisce dell’utilizzo di “droni armati per frenare la marcia dei miliziani, tra cui alcuni mercenari del Ciad forniti dal generale Khalifa Haftar, verso Tripoli”. Non solo. Gli addestratori turchi hanno formato la Brigata 444, una delle meglio equipaggiate della capitale, anch’essa intervenuta insieme alla Rada per contrastare sul campo gli alleati di Bashagha. Del resto, il presidente turco Recep Tayyip Erdogan non può permettersi di presentarsi alle elezioni del giugno 2023 con la guerra civile a Tripoli: ecco perché è intervenuta pesantemente per “salvare” Dbeibah in cambio, forse, dei controversi (e illegali) accordi sugli idrocarburi.
Lo zampino della Francia
Oltre allo stesso Bashagha, sconfitto e ormai quasi completamente delegittimato, ad aver perso la faccia sono stati soprattutto Russia, Egitto, e Francia. Mosca è interessata a destabilizzare il fianco sud della Nato e non perde occasione per mettere zizzania, spesso fallendo. L’Egitto vuole estendere la sua influenza al Paese vicino insediando un presidente-generale amico e ormai disconosce apertamente il governo Dbeibah, rafforzando però l’intransigenza turca. La Francia continua a sostenere dietro le quinte una vittoria dell’est e vorrebbe trasformare Haftar in un attore politico. Fonti libiche suggeriscono a Insideover che sono stati i consiglieri francesi a suggerire a Bashagha di tentare il colpo di mano del 27 agosto, commettendo però l’ennesimo errore.