Impiegati fatti scendere dagli uffici ed obbligati ad inginocchiarsi per terra con mani dietro la nuca, mentre un gruppo di giovani dalla barba lunga attorno a loro urla “Allah Akbar” esplodendo colpi di mitra in aria. È questo uno dei tanti video pervenuti da Sabratha a partire dal giorno di Pasquetta, quando cioè miliziani vicini al governo di Al Sarraj hanno ripreso la città lungo la costa occidentale della Libia. Il Gna, l’insieme delle forze cioè a sostegno del governo di Tripoli, ne ha rivendicato la conquista ai danni dell’esercito del generale Haftar. Poche ore dopo, sono arrivate diverse immagini che hanno documentato l’orrore successivo all’ingresso dei gruppi legati al governo: case date alle fiamme e razziate in quanto occupate da persone sospettate di essere vicine al nemico, membri dell’esercito di Haftar uccisi a sangue freddo, assalti alle carceri con conseguente liberazione di centinaia di criminali e jihadisti. Ed è questo lo specchio di una Libia sempre più in fiamme, sempre più devastata da una guerra che sta proseguendo nonostante i riflettori siano proiettati alla pandemia da coronavirus.

Rispunta Bija, il trafficante invitato nel 2017 al Cara di Mineo

Tra le tante immagini arrivate dal Paese nordafricano in questi giorni, c’è quella che ritrae due giovani a bordo in un selfie con alle spalle decine di ragazzi trucidati a sangue freddo lungo una strada. Una foto straziante, che ha mostrato i livelli di crudeltà di un conflitto spesso ritenuto “a bassa intensità” e che invece dal 2011 non ha mai smesso di provocare fratricidi massacri a due passi dal nostro Paese. E tra le foto di giovani barbuti ed esultanti per il loro ingresso a Sabratha, è emerso anche un volto molto familiare all’Italia: è quello di Abdou Rahman Milad, conosciuto come Bija. Se pronunciato lungo le coste nordafricane, questo nome potrebbe suscitare reazioni di paura soprattutto tra le persone che aspettano di imbarcarsi verso l’Italia. Bija è uno dei più pericolosi trafficanti di esseri umani, così come segnalato in diversi rapporti delle Nazioni Unite ed in diverse inchieste giornalistiche.

Sul The Post Internazionale, l’italiana Nancy Porsia ha spiegato come l’appartenenza di Bija alla potente tribù di Zawiya degli Abu Hamyra ha fatto sì che il giovane entrasse prima nelle forze delle Petroleum Facilities Guard, successivamente poi nel giro del traffico di migranti. Ma, come spesso accaduto nella Libia post Gheddafi, i ruoli di ladro e controllore ad un certo punto si sono unificati in una sola persona. Bija ha infatti fatto valere la sua posizione di uomo potente di Zawiya per diventare membro della Guardia Costiera libica e controllare le partenze dei barconi. In veste di ufficiale libico, come rivelato da Nello Scavo su Avvenire lo scorso ottobre, ha partecipato ad un incontro con alcuni funzionari italiani all’interno del Cara di Mineo nel maggio del 2017. In quelle settimane erano in corso, quando il Viminale era guidato da Marco Minniti, le prime trattative con Tripoli per provare ad arginare una crisi migratoria che stava riversando migliaia di migranti ogni mese lungo le nostre coste.

Bija, riconoscibile grazie anche ad una ferita alla mano procurata dall’esplosione di un ordigno nel 2011, era seduto assieme alla delegazione libica mentre interloquiva con gli italiani. Intervistato pochi mesi fa dalla giornalista Francesca Mannocchi, il giovane si è fatto trovare in divisa all’interno di un ufficio della Guardia Costiera. Adesso invece è possibile riconoscerlo assieme ai miliziani che hanno preso Sabratha. Il suo volto è apparso tra i combattenti, molti dei quali appartenenti ai gruppi islamisti siriani portati da Erdogan in Libia, che a bordo dei pick up hanno assaltato caserme e prigioni e contribuito alle stragi emerse nelle ultime ore da questi martoriati territori.

Centinaia di prigionieri liberi

La presenza di Bija tra i combattenti che hanno preso Sabratha ed altre città limitrofe, non sarebbe casuale. Infatti, come specificato su SpecialeLibia, anche le milizie di Zawiya, di cui il trafficante fa parte, si sono unite ai gruppi islamisti ed alle fazioni legate al Gna per espandersi lungo la fascia costiera occidentale del Paese. Durante la loro avanzata, le forze filo Al Sarraj oltre ad essersi macchiate di gravi crimini contro civili e fazioni avversarie, hanno anche preso possesso di diverse carceri liberando centinaia di detenuti. Secondo fonti del ministero della giustizia di Tripoli, sarebbero almeno 384 i criminali adesso in libertà. Tra questi alcuni erano detenuti per reati minori, ma molti di loro in realtà si trovavano in carcere per crimini molto gravi: dall’appartenenza alle cellule jihadiste, fino al coinvolgimento nel traffico dei migranti.

E queste non sono certo buone notizie per l’Italia: a Sabratha sono comparsi soggetti con le bandiere dell’Isis e di altre organizzazioni terroristiche, segno di come numerosi terroristi potrebbero adesso essere in libertà a pochi passi dalle nostre coste. La tensione, in questa parte occidentale della Libia, è sempre più forte: in particolare, in tanti adesso temono un aumento della violenza e delle azioni di vendetta tra clan rivali.

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