Fine dicembre 2016. La valle della Bekaa è coperta di neve e gli uomini dell’esercito libanese premono sull’acceleratore per portarmi al confine con la Siria, dove proseguirò poi per Damasco per intervistare il presidente Bashar al Assad. Sono giorni cruciali, quelli. Le truppe regolari hanno da poco riconquistato la città di Aleppo, liberandola dalla minaccia jihadista. Per anni, infatti, i civili hanno vissuto nell’incubo dei colpi di mortai lanciati dai cosiddetti “ribelli” che controllavano la parte orientale della città.

“Abbiamo vissuto sette anni di blackout, di paura, di mancanza d’acqua”, ci disse qualche mese dopo il nostro viaggio in Siria Nour, una ragazza che vive ad Aleppo – “Avevamo il terrore delle bombe. L’Isis e i miliziani dell’Esercito siriano libero hanno cominciato a bersagliarci con i colpi di mortaio, poi con degli ordigni esplosivi realizzati con le bombole di gas e, alla fine, con dei veri e propri missili“. Questa è stata la vita degli aleppini per quasi otto anni, da quando è iniziata la battaglia per la città, nel luglio del 2012. Uscivi di casa e non sapevi se saresti mai tornato. Ogni secondo di vita rappresentava una scommessa con la morte: ci sarò ancora tra un’ora oppure no?

Le storie di dolore e di speranza che in questi anni sono arrivate da Aleppo sono a milioni. “La mamma di un mio amico stava andando al lavoro”, ci racconta Nour. “Erano al telefono insieme quando una bomba lanciata dai terroristi le è piovuta addosso. La donna, non appena è stata colpita, ha smesso di parlare all’improvviso. Il mio amico ha sentito tutto: ha sentito che sua mamma stava morendo non lontano da lui. Un uomo che passava di lì ha preso il telefono e gli ha detto ciò che era successo. Il mio amico è corso sul posto e ha visto sua madre distesa sulla strada, con i vestiti coperti di sangue. Ha provato a portarla in ospedale ma aveva schegge in tutto il corpo e non hanno potuto fare nulla per salvarla. Quando siamo andati a trovarlo, questo mio amico teneva ancora in mano i vestiti bagnati di sangue di sua madre. Abbiamo provato a stargli vicino, a riportarlo alla vita. Non posso dirti che si sia lasciato tutto alle spalle, ma ora è riuscito a rialzarsi. E anche noi. Oggi ci scrolliamo di dosso la polvere della guerra e risorgiamo”.

Ma il dolore non può esistere senza la certezza di una speranza: “In questa guerra abbiamo perso tanto, è vero. Ma sono rimasta sorpresa dall’amore che siamo riusciti a trasmetterci. Nonostante cadessero le bombe, ci sforzavamo di vivere normalmente, andando a lavorare, al mercato o nei club. Ora stiamo ricostruendo la città, siamo vivi. Non ci fermeremo”.

Questo era il passato. Questi erano gli anni del terrore. Ma com’è la vita adesso? “Mi sento più sicura ora”, ci racconta Nour che poi prosegue: “Spero che l’esercito possa liberare tutta la Siria, in modo tale che noi possiamo iniziare a ricostruire il nostro futuro e tornare a prima della guerra, dove vivevamo in pace e in sicurezza”. Ma l’insegnamento più grande viene da un altro cittadino di Aleppo il cui mercato è stato distrutto anni fa dall’Esercito siriano libero: “Non uscirò da questo Paese e realizzerò ciò che voglio. Questa non è la prima guerra che ha colpito la Siria. Ogni volta che c’è stato un conflitto il nostro Paese è uscito più forte e più bello. E ora voglio fare la mia parte. Ricostruirò il mio Paese. E non lascerò la mia terra. La mia casa”.





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