Il colonnello Mikhail Mikhailovich Khodaryonok è stato a capo della prima direzione operativa dello Stato maggiore delle forze armate della Federazione Russa. Oggi Khodaryonok è uno stimato giornalista esperto di difesa che scrive per Nezavisimaya Gazeta, e come tale è stato più volte ospite in studio alla televisione russa Rossiya1 per parlare della “operazione militare speciale”, ovvero della guerra in Ucraina così come viene chiamata ufficialmente dal Cremlino.
Nella sua ultima apparizione televisiva il colonnello ha fatto una breve disanima del conflitto caratterizzata da toni molto critici, mai sentiti prima in un media di Stato russo. Khodaryonok, parlando del livello di preparazione dell’esercito ucraino che resiste da più di 80 giorni agli assalti russi, ha infatti affermato che il valore espresso sul campo di battaglia dai militari di Kiev non è dato tanto dal loro livello di professionalizzazione – considerato scarso dalla conduttrice del programma – né dalla qualità degli armamenti occidentali, ritenuta dal colonnello superiore rispetto a quella russa, quanto dall’alto livello del morale delle truppe che, professioniste o coscritte, combattono disposte a “versare il sangue per la Patria”.
Khodaryonok ha anche affermato, senza mezzi termini e quasi sfidando la censura imposta dal Cremlino ai media, che “c’è bisogno di realismo politico-militare” – ritenuto essere assente – e che se non viene considerato “la realtà storica ti colpirà così duramente che lo rimpiangerai”. Soprattutto Khodaryonok conclude il suo intervento dicendo che la cosa più importante riguardo a quest’ultimo fattore è “considerare la situazione nel suo insieme, non invischiarsi in intimidazioni nucleari alla Finlandia. Dopo tutto, il problema della nostra posizione politico-militare è che siamo in una condizione di totale isolamento geopolitico, e che nonostante ci secchi ammetterlo, l’intero mondo, virtualmente, è contro di noi”.
Potenzialmente si tratta di dichiarazioni che avranno un duro impatto sulla percezione che l’opinione pubblica ha di questa guerra, mettendone in dubbio il carattere liberatorio “denazificante” propagandato dal Cremlino e l’alone di “invincibilità” dell’esercito russo dato indirettamente dalla narrazione di un conflitto che avrebbe dovuto essere breve per via del supposto scarso sostegno popolare al governo di Kiev.
Il colonnello non è la prima volta che esprime critiche riguardo alle operazioni militari in Ucraina: a inizio febbraio ha scritto un articolo, sempre su Nezavisimaya Gazeta, che confutava nettamente la visione di qualche politico russo che riteneva che il conflitto sarebbe stato “una passeggiata” perché un potente attacco avrebbe facilmente annientato le forze armate ucraine, ma soprattutto si pensava che nessuno tra gli ucraini avrebbe difeso il “regime di Kiev”. Valutazioni totalmente sbagliate come sappiamo oggi.
In quell’occasione Khodaryonok aveva espresso anche tutte le sue perplessità in merito a una possibile futura facile campagna militare ricordando i recenti eventi del 2014 in Donbass, dove i russi si aspettavano di poter conquistare facilmente i due oblast russofoni per intero, e avvisando che l’esercito ucraino non è più, per consistenza e qualità, quello visto in quella situazione.
Proprio in merito a quest’ultimo punto il colonnello aveva ricordato che in quella occasione anche la popolazione di lingua russa di questa parte dell’Ucraina (comprese città come Kharkiv, Zaporizhzhia, Dnepropetrovsk, Mariupol) non aveva sostenuto i piani di Mosca nella stragrande maggioranza ed il progetto “Novorossiya”, che avrebbe dovuto portare alla nascita di una repubblica indipendente legata alla Russia, è stato in qualche modo impercettibilmente spazzato via morendo silenziosamente. Khodrayonok era stato lapidario, affermando che “in una parola, la campagna di liberazione del 2022, a modello e somiglianza del 1939, non avrà successo in alcun modo”.
Procedendo in quella che risulta essere un’analisi impietosa della situazione strategico/militare della crisi russo-ucraina, il colonnello anticipa quello che andiamo dicendo da settimane, anzi da mesi: la Russia non possiede, nei suoi arsenali, un numero sufficiente di sistemi missilistici moderni in grado di eliminare le difese ucraine. Khodrayonok ha infatti messo per iscritto che “le riserve di armi moderne e di alta precisione nelle forze armate della Federazione Russa non sono di natura illimitata. I missili ipersonici del tipo Zircon non sono ancora in servizio, il numero di Kalibr (missili da crociera lanciati dal mare), Kinzhal, Kh-101 (missili da crociera lanciati dall’aria) e Iskander si misura al massimo in centinaia (decine nel caso dei Kinzhal). Questo arsenale non è assolutamente sufficiente per spazzare via dalla faccia della Terra uno stato grande quanto la Francia e con una popolazione di oltre 40 milioni di abitanti”.
Viene anche sollevato il dubbio, poi confermato dai fatti, sulla capacità delle forze aerospaziali russe di conquistare il dominio dei cieli: si dice, infatti, che la guerra sovietica in Afghanistan è durata 10 anni nonostante i mujaheddin non avessero assetti aerei, esattamente come accaduto durante i conflitti in Cecenia. Aggiungiamo che anche durante la breve guerra in Georgia, nel 2008, le forze aeree russe si sono ritrovate in un ambiente contestato senza riuscire a esprimere un totale controllo dello spazio aereo. Fondamentalmente, quindi, i prodromi di quanto stiamo vedendo nei cieli ucraini c’erano tutti, e vanno ricercati anche – ma non solo – nella stessa dottrina bellica dell’esercito russo, erede di quello sovietico.
Il colonnello, insieme a pochi altri, è rimasto una Cassandra: probabilmente se lo Stato maggiore russo gli avesse dato ascolto la Russia non avrebbe intrapreso questa guerra, oppure avremmo assistito a operazioni belliche più strutturate, con maggiore attenzione alla logistica – vero tallone d’Achille dei russi – e con una campagna aerea di distruzione delle difese ucraine più capillare ed efficace. Tra chi è legato agli ambienti militari russi, pertanto, sta prendendo corpo una critica alla condotta di questa guerra: qualcosa che non si era mai visto prima.