L’esercito americano ha iniziato a rafforzare la sua presenza nel Pacifico nella zona del Mar Cinese Meridionale. In quello che sembra essere il primo vero segnale di contrasto all’espansionismo cinese, gli Stati Uniti si sono impegnati a soccorrere i loro alleati nella regione nell’eventualità che Pechino lanci un’offensiva. Recentemente il Segretario di Stato americano Mike Pompeo ha rassicurato in questo senso le Filippine, una nazione che in più occasioni ha subito le conseguenze delle mire cinesi nel Pacifico.

“La Cina è la priorità”, ha dichiarato a una tavola rotonda il generale Robert Brown, comandante dell’U.S. Army Pacific.
Una maggiore presenza militare degli Stati Uniti servirebbe da deterrente, costringendo Pechino a pensarci due volte prima di minacciare la sovranità e il libero commercio delle nazioni insulari del Pacifico. La strategia è duplice: da un lato un programma di addestramento e potenziamento delle truppe straniere, e dall’altro lo schieramento di un maggior numero di truppe americane nella regione.

Gli Usa stanno aumentando il numero di truppe e prolungando la durata di dispiegamento delle forze che rientrano nel programma Pacific Pathways. Questo programma di difesa in passato comprendeva unità provenienti da Indonesia, Malesia e Giappone; i soldati americani trascorrevano alcune settimane di addestramento in questi paesi prima di essere sostituiti da nuovi gruppi. Da ora in poi, il programma Pathways vedrà invece le unità schierate per sei mesi alla volta.

In aggiunta, un altro programma di esercitazione militare noto come Defender Pacific verrà lanciato come atto di dimostrazione di forza. Defender Pacific addestrerà i soldati per un dispiegamento rapido direttamente nel Mar Cinese Meridionale. Questo programma è progettato come risposta nell’eventualità che la Cina decida di avviare attacchi nel Mar Cinese Meridionale o nel Mar Cinese Orientale. Defender Pacific prevede lo spostamento nella regione del comando di una divisione, insieme a diverse brigate. Con le forze già stanziate nel Pacifico, si condurranno esercitazioni militari come se fosse a tutti gli effetti scoppiata una guerra con Pechino. Queste esercitazioni coinvolgeranno le nazioni insulari del Brunei, dell’Indonesia, della Malesia, delle Filippine e della Thailandia.

Storicamente, gli Stati Uniti hanno mantenuto un ruolo di protezione per molti Paesi indo-pacifici dopo la seconda guerra mondiale. Nella loro lotta contro il Giappone, gli Usa liberarono queste isole dalla presenza giapponese, utilizzandole poi come basi aeree e navali. Da quel momento, la maggior parte delle nazioni insulari ha operato con autonomia, ma nessuna di loro ha capacità sufficienti per contrastare la Cina.

L’espansione della Cina nel Mar Cinese Meridionale si basa sulla creazione di isole artificiali, in modo da dichiarare le acque circostanti parte della giurisdizione cinese. Così facendo, i cinesi hanno potuto impedire operazioni di pesca e minacciato il libero commercio dei paesi vicini, arrivando persino ad affondare un peschereccio vietnamita. Con questa espansione nel Pacifico, la Cina trasmette il chiaro messaggio che nessun altro è benvenuto in questo spazio aereo o marittimo.

“La Cina rappresenta la più grande minaccia strategica per la libertà della regione indo-pacifica, e per gli Stati Uniti”, ha dichiarato l’ammiraglio Phil Davidson, comandante dell’U.S. Indo-Pacific Command.

Oltre a costruire avamposti militari su queste isole artificiali, la Cina sfrutta anche il suo potere economico per ottenere il controllo su nazioni che desidera soggiogare. Nelle Filippine, ad esempio, la Cina ha erogato numerosi prestiti e sovvenzioni per la costruzione di infrastrutture, anche se i posti di lavoro creati vanno comunemente a lavoratori cinesi espatriati.

Occasionalmente, come nel caso dello Sri Lanka, la Cina prende il controllo dei porti o di altre zone strategiche quando i governi non sono in grado di ripagare i propri debiti. Queste politiche minacciano non solo le economie degli stati insulari, ma anche la situazione militare del Pacifico, consentendo alla Cina di acquisire una posizione di controllo in queste regioni.

Unitamente al rafforzamento delle truppe con i programmi Pacific Pathways e Defender Pacific, gli Stati Uniti stanno anche valutando un impiego più vasto di arsenali missilistici. Il presidente Trump ha già annunciato la sua intenzione di ritirare gli Stati Uniti dal trattato Inf con la Russia sui missili nucleari a gettata intermedia, quindi l’esercito sarà presto in grado di iniziare la produzione e il dispiegamento di missili a gittata da 500 a 5.500 chilometri. Non essendo mai stata vincolata da questo trattato, la Cina è stata libera di produrre questi tipi di missili senza restrizioni.

Ma è un missile in particolare a preoccupare l’esercito americano: il DF-21 “carrier killer”. Con un’autonomia di quasi 2mila chilometri, il DF-21 è considerato il primo razzo anti-nave al mondo. Se la Cina lo impiegasse, questo metterebbe in crisi le acque internazionali del Pacifico. In risposta, l’esercito americano sta chiedendo di inserire oltre un miliardo di dollari nel budget di quest’anno per la realizzazione di un missile ipersonico terrestre. In combinazione con lo Strategic Long-Range Cannon, un cannone strategico a lungo raggio, i progressi nelle tecnologie militari a cui assisteremo nei prossimi anni potrebbero rappresentare il più efficiente deterrente contro l’espansionismo cinese.

In definitiva, un Pacifico libero e aperto sarà possibile se la Cina rispetterà i confini delle acque territoriali internazionali, cosa che finora ha fatto con riluttanza. Una maggiore presenza a dell’esercito Usa potrebbe essere la soluzione, e la vasta gamma di opzioni a disposizione degli americani potrebbe mandare un messaggio forte e chiaro a Pechino.

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