Seppur poco considerata sotto il profilo mediatico rispetto ad altri contesti interni al conflitto siriano, la battaglia nel deserto meridionale del paese ha assunto nei giorni scorsi una grande valenza tanto militare quanto simbolico; l’esercito siriano, in particolare, è riuscito ad avanzare lungo una superficie di territorio molto ampia fino al confine con la Giordania ed ha quindi respinto le forze islamiste installate nelle colline comprese tra le province di Sweida e Damasco dal almeno tre anni. Per il governo di Assad, il fronte meridionale rimane strategico ed importante sia nella sua parte occidentale che orientale; da un lato, vi è la città di Dar’a (capoluogo dell’omonima provincia e tra i primi ‘focolari’ delle proteste del 2011) ed i promontori del Golan vicini al confine israeliano, dall’altro per l’appunto un’ampia fascia desertica difficile da controllare con un esercito impegnato nelle principali città del paese e da cui, tramite la Giordania, sono entrati migliaia di combattenti jihadisti.

Damasco controlla adesso il confine giordano

Il deserto compreso tra le parti orientali delle province di Sweida, Damasco ed Homs, confina per l’appunto con la Giordania: è qui che, tra le colline aspre e brulle ed il pietrisco battuto dal sole molto caldo di questo territorio, sono situati diversi valichi di frontiera che separano la Repubblica Araba Siriana dal regno Hashemita di Re Abd Allah II. Già prima del 2011, tale confine non era certo tra i più facili: sono diverse e da tanto tempo le divergenze tra Damasco ed Amman, tra tutte il fatto che la Siria dal 1967 è formalmente in guerra con Israele, mentre la Giordania dal 1989 è uno dei due stati arabi a riconoscere il governo di Tel Aviv; allo scoppio del conflitto civile siriano, anche il governo hashemita ha attivamente lavorato per rovesciare Assad alleandosi con i vari attori regionali ed internazionali che hanno spinto all’epoca per togliere di mezzo l’esecutivo alawita.  

Proprio dal confine giordano, sono entrati migliaia di miliziani: gruppi radicali e terroristici, una miriade di sigle che hanno infoltito quello che da più parti è stato chiamato ‘Free Syriam Army’ ma che, ben presto, si è trasformato nel rifugio di Al Nusra e dei principali militanti della causa jihadista. Dal 2012 in poi, il confine è divenuto di fatto una mera linea tracciata su una carta geografica senza alcuna validità effettiva: i valichi sono stati abbandonati dall’esercito, il territorio desertico ed impervio ha agevolato l’ingresso sul suolo siriano di combattenti stranieri, intere aree sono state utilizzate come basi ed a volte anche campi di addestramento per le sigle terroriste; poi, a partire dal 2015, una parte del confine è stata occupata da forze della coalizione occidentali le quali poi, presso il valico di frontiera siro – iracheno di Al Tanf, hanno posto anche una vera e propria base militare.

La svolta tra Damasco ed il confine giordano, è arrivata all’inizio di quest’anno: le forze regolari, temendo un avanzamento dei gruppi islamisti presenti in questa porzione di deserto, hanno iniziato a concentrarsi nel recupero di intere aree poste tra le province di Sweida e quelle ad est della capitale. Uno ad uno, da marzo ad oggi, l’esercito ha di fatto riconquistato quasi tutti i valichi i quali adesso sono stati nuovamente presenziati; i chilometri di frontiera sigillati, hanno per la Siria una doppia importante validità: da un lato simbolica, visto che dal 2012 in poi in tanti hanno dato per ‘perdute’ queste aree, dall’altro anche militare e strategico perché il controllo del confine con la Giordania è garanzia di interruzione dei flussi di armi, mezzi e uomini che hanno contribuito in maniera sostanziale e sostanziosa a destabilizzare il paese. L’ultima importante novità in tal senso, è arrivata lo scorso 11 ottobre: l’esercito, in un solo giorno, è riuscito ad eliminare la presenza jihadista da una porzione di territorio di quasi ottomila chilometri quadrati e così, da quel momento in poi, è stato possibile considerare sigillato per oltre due terzi uno dei più ‘caldi’ confini mediorientali.

Il pericoloso ‘rebus’ di Al Tanf

Con il respingimento delle forze islamiste dal deserto posto vicino la frontiera giordana, rischia di aprirsi adesso un altro importante capitolo del conflitto siriano; come detto in precedenza, presso il valico di Al Tanf, posto tra Siria ed Iraq, vi è una base della coalizione occidentale: al suo interno, si trovano corpi speciali USA, ma anche britannici e norvegesi; tale postazione, è considerata illegale da parte di Damasco ed alla stregua di una vera e propria occupazione di una parte del suo territorio. La Russia, dal canto suo, anche se non ha ufficialmente condannato la presenza USA ad Al Tanf, pur tuttavia ha spesso sollecitato le forze presenti al suo interno a prendere in considerazione l’idea di abbandonare l’area; il sette ottobre scorso, come riporta il quotidiano Asharq Al – Awsat, il Ministero della difesa di Mosca ha considerato un ‘buco nero’ la presenza americana ed occidentale ad Al Tanf.

E’ bene ricordare che questa località si trova a circa 50 km ad est dall’ultimo valico di frontiera tra Siria e Giordania; l’avanzata dell’esercito in questa porzione di deserto, non può che avere anche implicazioni su Al Tanf: in particolare, così come è possibile vedere dalle mappe, di fatto la base occidentale è chiusa da tutte e tre le sponde ricadenti in territorio siriano ed è una vera e propria sacca circondata dall’esercito di Damasco. Il rischio di incidenti o di tensioni dirette con, in particolar modo, le forze USA è dietro l’angolo; del resto, già in passato si è assistito a bombardamenti contro le milizie popolari ed obiettivi dell’esercito avvicinatisi a meno di 50 km da Al Tanf: adesso che la bandiera siriana sventola in gran parte delle principali alture del deserto sud orientale, la questione relativa ad Al Tanf rischia di assomigliare ad un vero e proprio rebus.

Già quando nel mese di maggio le forze siriane iniziavano ad avanzare, in tanti scommettevano su una mediazione russa per provare ad evitare tensioni nell’area; a maggior ragione oggi, tale via potrebbe essere l’unica in grado di risolvere la questione: la scommessa, stando a diverse fonti filo governative molto attive in queste ore soprattutto su Twitter, sta nella non utilità pratica della presenza americana ad Al Tanf, visto che in nessuno modo oramai essa può aiutare quei gruppi ribelli oramai quasi del tutto spariti da quell’area. In tal modo, gli USA potrebbero decidere di abbandonare il valico e la base militare spontaneamente, evitando tensioni per la difesa di un obiettivo non più strategico; se così non fosse, prima o poi la questione di Al Tanf potrebbe esplodere in tutta la sua complessità e con non pochi ulteriori pericoli per la stabilità della regione.

Anche perché, ed è questa un’altra variabile del rebus di Al Tanf, la base occupata dagli USA anche se non più fondamentale a livello strategico, rimane tuttavia l’unico ostacolo che impedisce la creazione di un asse viario – terrestre diretto tra Damasco e Teheran; da questo valico infatti, scorre l’autostrada che collega la capitale siriana con Baghdad e quindi con la capitale iraniana. Un asse sciita, spauracchio tanto di Washington quanto dei suoi più fedeli alleati regionali, appare specialmente in queste ore un qualcosa a cui difficilmente gli americani daranno un loro pur indiretto contributo abbandonando Al Tanf. E’ solo una base, posta in un valico di frontiera ma in essa è rintracciabile la drammaticità e la fragilità dei precari equilibri insiti tanto nella regione quanto in un conflitto pronto ad entrare al suo settimo anno di vita.

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