Secondo una notizia fatta trapelare dall’agenzia Reuters la settimana scorsa, confermata da ben sette fonti diplomatiche, il governo di transizione maliano starebbe per siglare un accordo con l’agenzia di sicurezza privata russa Wagner per un valore complessivo di circa 10 milioni di dollari al mese. Se i dettagli del contratto rimangono segreti, la Pmc (Private Military Contractor) russa provvederebbe all’addestramento delle truppe maliane e fornirebbe i suoi servizi di scorta ai vertici di Bamako in cambio, oltre ad un lauto pagamento mensile, dello sfruttamento di tre giacimenti minerari, due di oro e uno di magnesio.
La reazione di Parigi non si è fatta attendere: il ministro degli Affari Esteri Jean Yves Le Drian, ha infatti prontamente affermato che “la presenza di contractors russi in Mali è assolutamente inconciliabile con quella francese”. Anche Berlino, per bocca del suo ministro della Difesa, ha ribadito che la presenza di contractors russi metterebbe a repentaglio l’operato delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea in Mali e nel Sahel. Il governo maliano ha invece smentito, definendo la notizia una diceria e dichiarando che il governo del Mali dialoga con tutte le parti.
Il colpo di stato e il flop di Parigi
Questa notizia si inserisce in un contesto di crescenti tensioni fra Bamako e Parigi: l’impegno ormai quasi decennale della Francia in Mali sembra infatti aver sortito relativamente pochi risultati se non sul piano strettamente militare. Il nesso fra sicurezza e sviluppo in cui confidava la Francia per stabilizzare uno dei paesi più estesi dell’Africa subsahariana ha infatti rivelato tutte le sue debolezze. I progetti di sviluppo tardano a partire e sovente non riescono a raggiungere le zone più remote del paese. La costante instabilità politica unita ad una gestione del potere personalistica e corrotta ha creato una sfiducia diffusa nei confronti del governo centrale che non ha saputo ridurre l’alto tasso di disoccupazione giovanile né porre fine alla crisi alimentare che mette a rischio la vita di più di 7 milioni di persone.
Le carenze nella gestione della pandemia di Covid-19 hanno poi agito da moltiplicatore, accrescendo ulteriormente le tensioni sociali e le disparità tra centro e periferia. Proprio queste carenze nella governance del paese avevano portato ad un colpo di stato militare, la notte del 19 agosto 2020, che aveva rimosso il presidente democraticamente eletto Ibrahim Boubacar Keita (IBK) dando vita al Comitato Nazionale per la Salute del Popolo (Cnsp). Accolto con favore dalla popolazione, il comitato presieduto dai vertici dell’esercito maliano si era impegnato ad organizzare una transizione politica e ad indire nel più breve termine nuove elezioni. La Francia, l’Unione europea e l’Ecowas avevano accolto la notizia del colpo di stato con preoccupazione ma le rassicurazioni dei militari circa il mantenimento degli accordi presi dal precedente governo non avevano di fatto intaccato la natura del loro impegno in Mali, visto anche il supporto popolare di cui godeva il nuovo governo.

Il 24 Maggio 2021, a soli 8 mesi dal primo colpo di stato, i militari maliani arrestano il presidente ad interim Bah N’Daw e il suo primo ministro Moctar Ouane, poco dopo la nomina di un nuovo governo che li vedeva esclusi da alcune posizioni apicali, come quelle del ministero della Difesa e della Sicurezza. Non solo questo secondo golpe non gode del favore popolare, ma porta anche la Francia e i partner internazionali a sospendere le operazioni congiunte con le forze armate maliane. Il 10 giugno 2021 Macron annuncia la fine dell’operazione Barkhane, escludendo un ritiro completo delle truppe francesi ma annunciando una sostanziale trasformazione dell’impegno francese.
In realtà agli osservatori non era sfuggito come già durante il golpe di agosto del 2020 alcuni manifestanti sventolassero bandiere russe e cartelli inneggianti all’amicizia fra Russia e Mali, elemento piuttosto peculiare dal momento in cui i due paesi non intrattengono relazioni bilaterali significative. Già nel 2019 però, a margine del primo summit russo-africano, i due paesi avevano stretto un accordo di cooperazione in ambito di sicurezza che aveva comportato l’arrivo di alcuni elicotteri d’attacco MI-35M consegnati da Mosca a Bamako. Contestualmente i militari francesi avevano dovuto affrontare una campagna di disinformazione in chiave anti-francese sui social media. La notizia di un possibile contratto stipulato dal governo del Mali con la PMC Wagner si inserisce quindi in un contesto complesso, che porta ad interrogarsi sulle mire della Russia in Africa sub-sahariana.
Wagner, la punta della lancia della penetrazione russa in Africa
Secondo un rapporto del Centro di Studi Strategici ed Internazionali (Csis) di luglio del 2021, le Pmc rivestono un ruolo fondamentale nella strategia di espansione dell’influenza russa. Occorre innanzitutto sottolineare che in questo caso il termine Pmc è improprio poiché sebbene si tratti di aziende nominalmente private i vari contractors russi (fra cui figurano l’Anti-terror Group, Center R, Moran Security Group, RSB Group, E.N.O.T., Shchit, Patriot e l’ormai famoso Wagner Group) sono tutti legati ad agenzie di sicurezza russe come l’Fsb, il Gru o direttamente il ministero della Difesa. Inoltre, la nomea di alcuni di questi gruppi potrebbe far pensare a piccole unità di operatori altamente specializzati assimilabili alle forze speciali ma non è così.
Le Pmc russe hanno diverse componenti al loro interno che vanno da interi reparti di fanteria a unità specializzate passando per istruttori e personale tecnico e di supporto. Altresì eterogeneo è il loro impiego: oltre a condurre operazioni di combattimento i contractor russi sono anche in grado di fornire servizi di intelligence e analisi (humint, sigint, osint), di protezione di personale Vip, di sicurezza per siti strategici ed operazioni di informazione e propaganda. La versatilità delle Pmc russe, la loro relativa convenienza economica e la cosiddetta plausible deniability, cioè l’impossibilità di ricondurre ufficialmente il loro operato alla Russia, costituiscono i punti di forza di queste aziende.
Largamente impiegate nel 2015 nella guerra in Ucraina dell’est, il loro impiego non ha smesso di crescere, fino a diventare uno dei principali strumenti della guerra asimmetrica o ibrida russa. Se nel 2105 le Pmc russe operavano in soli 4 stati ad oggi operano in più di 27 paesi: la loro presenza è stati infatti evidenziata in Africa (Repubblica Centro Africana, Sudan, Libia, Repubblica Democratica del Congo, Madagascar, Botswana, Guinea…), in Medio Oriente (in particolare in Siria, Yemen ed Iraq), in Europa, in Asia (Afghanistan, Azerbaijan) e in America Latina (in Venezuela in particolare).

Divenute un formidabile strumento per proiettare l’influenza russa nel mondo, queste Pmc spesso agiscono secondo un preciso modus operandi. Intervengono in contesti difficili, in paesi relativamente deboli, la cui governance del territorio è spesso contestata da gruppi ribelli. Le Pmc russe svolgono quindi un servizio di stabilizzazione, puntellando lo stato target ed accrescendone le capacità. Al contempo avanzano gli interessi russi accrescendo l’influenza di Mosca nel paese, ottenendo l’accesso a risorse naturali ed aumentando i margini profitto degli oligarchi russi che le controllano. Grazie alla presenza delle sue Pmc, la Russia sarà poi in grado di imporsi come attore ineludibile dalle trattative sulle sorti del paese (come nel caso della Libia) e sarà anche in grado di ostacolare la proiezione degli interessi dei suoi rivali storici quali gli Usa e gli altri partner atlantici.
Nel caso dell’Africa sub-sahariana, la presenza delle Pmc russe è stata osservata in ben 16 stati, tutti caratterizzati dalla presenza di risorse naturali e da una governance del territorio parziale e indebolita. La Russia ha così potuto offrire il suo supporto militare e la sua expertise in fatto di sicurezza pubblica, ottenendo in cambio vantaggi economici, geopolitici e militari. Uno dei casi più lampanti è quello della Repubblica Centro Africana (Car): la Russia a novembre del 2017 riceve l’autorizzazione all’esportazione di armi dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (Unsc) in deroga all’embargo che vige per il paese dal 2013. Oltre all’esportazioni di armi, la Russia attraverso le sue Pmc in breve tempo prenderà a fornire diversi servizi a Bangui fra cui l’addestramento delle truppe, operazioni di combattimento contro i ribelli che a inizio del 2021 minacciavano di avanzare verso la capitale, protezione dei siti estrattivi del paese, scorte armate, operazioni di (dis)informazione e addirittura consulenza politica.
È proprio nella Repubblica Centro Africana che la propaganda pro Russa e anti francese si fa più virulenta, tanto da sfociare in una guerra di informazione coi servizi francesi. Frattanto Valery Zakharov, un ex ufficiale del GRU, diviene consigliere per la sicurezza nazionale del presidente Touadéra. Zakharov, oltre ad avere stretti rapporti con l’FSB, è alle dipendenze di una società di comodo ricollegabile all’oligarca Eugeny Prigozhin, il quale controlla attraverso una serie di società di comodo la Pmc Wagner Group oltre ad alcune compagnie estrattive che operano in Africa sub-sahariana. Secondo la professoressa di Scienze Politiche al Barnard College ed esperta di Pmc Kimberly Martens, Zakharov non solo sarà in grado di formare una milizia privata fedele a Touadéra, ma riuscirà anche a intavolare delle negoziazioni fra il governo del Car e i ribelli, riuscendo laddove le Nazioni Unite e l’Unione Africana avevano fallito e ottenendo contemporaneamente concessioni minerarie piuttosto lucrative.
I veri interessi di Mosca
La penetrazione russa in Africa non è stata sempre un successo: in Madagascar, per esempio, i contractors russi non sono riusciti a far vincere nelle elezioni del 2018 i candidati cui avevano offerto i loro servizi. Il Mozambico recede il contratto con Wagner dopo che numerosi uomini della Pmc vengono sopraffatti dai ribelli nella parte nord del paese, incrinando contestualmente l’immagine di successo del gruppo. Se le operazioni della galassia di Pmc russe in Africa non hanno sempre riscosso dei successi, il loro utilizzo risponde comunque a tre interessi principali del governo russo. In primo luogo, ci sono infatti gli interessi economici.
La Russia in Africa non ha che un ruolo residuale, di gran lunga inferiore a quello americano, francese o cinese, ma la possibilità di un accesso prioritario alle risorse naturali nel suolo africano permette al Cremlino di mantenere la competitività nei settori in cui eccelle, in particolare quello minerario ed energetico. Ci sono poi gli interessi geopolitici: la “svolta africana” della Russia permette a Mosca di espandere la sua influenza, ostacolando gli interessi dei suoi competitors e creando una nuova rete di alleanze per uscire dalla fase di isolamento internazionale dovuta all’annessione della Crimea. La creazione di basi navali nei paesi africani, come in Sudan, garantirebbe inoltre un accesso diretto al Mar Arabico e all’Oceano Indiano. Sul piano militare l’espansione nel continente africano permette invece a Mosca di stringere nuovi accordi di cooperazione in ambito di sicurezza e difesa (dal 2015 ad oggi la Russia ha firmato ben 21 accordi di cooperazione militare), di accrescere la vendita di armi e di costruire nuove basi militari in zone che finora erano pressoché inaccessibili per il Cremlino.
È quindi naturale che la notizia di un possibile accordo fra il governo del Mali e il Wagner group desti preoccupazione nelle capitali europee ed occidentali. Il paese non solo è nel cuore della tradizionale sfera di influenza francese in Africa, ma è anche una sorta di banco di prova per una missione europea a guida francese. Se Parigi dovesse perdere la sua influenza in Mali e nei paesi del c.d G5 Sahel, dovrebbe anche ridimensionare le sue ambizioni di paese guida in un possibile (ed auspicabile) progetto di difesa europea. In summa, dopo i fallimenti della Siria e della Libia la Francia e i suoi partner europei non possono perdere in Mali.