“Rim of the Pacific”, Rimpac. Questo è il nome della più grande esercitazione navale al mondo che si tiene ogni due anni nelle acque del Pacifico sotto al direzione dell’Us Navy. All’edizione del 2018, cominciata ufficialmente lo scorso 28 giugno e che terminerà il prossimo 2 agosto, parteciperanno navi e forze terrestri di 25 Paesi che si affacciano sull’oceano più vasto del mondo – ed alcuni invitati “esterni” – tranne la Cina, che quest’anno è stata esclusa dopo aver partecipato a due edizioni consecutive.

Che cos’è Rimpac?

Rimpac nasce nel 1971 come risposta americana al graduale disimpegno di Washington dal conflitto nel Vietnam: per rassicurare gli alleati sulla continuità della presenza delle forze Usa in Asia nonostante il ritiro dal Sud Est Asiatico, il Pentagono decise di indire un’esercitazione navale congiunta che allora, nella sua prima edizione, vide la partecipazione di Nuova Zelanda, Australia, Canada e Regno Unito.

Oggi, giunti alla sua 26esima edizione, Rimpac vede la partecipazione di 45 unità navali di superficie e sottomarine, 17 contingenti terrestri, più di 200 velivoli e circa 25 mila uomini provenienti da Australia, Brunei, Canada, Cile, Colombia, Francia, Germania, India, Indonesia, Israele, Giappone, Malesia, Messico, Olanda, Nuova Zelanda, Perù, Corea del Sud, Filippine, Singapore, Sri Lanka, Thailandia, Tonga, Regno Unito, Vietnam oltre, ovviamente, agli Stati Uniti che forniscono il contingente di uomini e mezzi più numeroso.

L’esercitazione navale più grande al mondo ha come finalità la messa alla prova delle capacità di effettuare operazioni congiunte tra le forze navali di vari Paesi nel quadro della sicurezza delle linee marittime ed in particolare per dimostrare la flessibilità dello strumento navale. Le missioni di addestramento che si terranno per più di un mese nelle acque del Pacifico riguarderanno anche, infatti, attività di contro-terrorismo, operazioni di soccorso in caso di disastro ambientale oltre ovviamente alle più classiche esercitazioni di “sea control” che vedono coinvolti i vari asset di una marina militare: antisom, anti aereo, assalto anfibio, antipirateria, contromisure mine, Sar (Search and Rescue) nonché per attività di immersione e Eod (Explosive Ordnance Disposal).

L’esercitazione quest’anno vedrà per la prima volta l’utilizzo di missili antinave a lungo raggio (Lrasm) lanciati da aerei dell’Usaf – con ogni probabilità da B-1B – oltre ad esercitazioni a fuoco che prevedono l’utilizzo di missili “surface-to-ship” delle Forze Armate Giapponesi (Self Defence Ground Forces) e missili Nsm (Naval Strike Missile) lanciati da unità dell’Us Army. Quella del 2018, infatti, è la prima edizione di Rimpac che vede la partecipazione di unità terrestri, e non è un caso, come vedremo.

“Ci sono uniformi differenti, volti differenti e culture differenti” sono state le parole del comandante della Flotta Usa nel Pacifico ammiraglio John C. Aquilino durante la cerimonia di apertura di Rimpac “ma condividiamo uno scopo comune qui a Rimpac. Vorrei pertanto ringraziare tutte le nazioni che hanno inviato contingenti per partecipare. Navi, velivoli e marinai hanno percorso molta strada e rappresentano un investimento significativo per i propri Paesi. Paesi che investono nella sicurezza e stabilità di questa regione marittima che ha permesso a tutte le nazioni di godere di una prosperità senza precedenti per decenni”.

Perché la Cina è assente da Rimpac?

Dalle parole dell’ammiraglio Aquilino ma soprattutto da quelle del vice ammiraglio comandante della Terza Flotta Usa, John D. Alexander, che sottolinea come sia importante costruire relazioni tra potenze marittime che si affacciano nell’importante regione indo-pacifica sede della maggior parte dei traffici commerciali del mondo, traspare già una velata polemica rivolta verso Pechino.

La Cina, come già accennato, quest’anno è stata esclusa da Rimpac dopo essere stata presente per due edizioni consecutive (nel 2014 e nel 2016). L’esclusione di quest’anno è stata motivata per le continue tensioni che Pechino sta sollevando nel Mar Cinese Meridionale, sede di rivendicazioni territoriali cinesi e soprattutto diventato il trampolino di lancio per la capacità di proiezione di forza delle sue Forze Armate grazie alla costruzione di isolotti artificiali e alla militarizzazione di altri atolli già esistenti.

Washington, in risposta alla caparbietà di Pechino sulla questione, ha deciso di escluderla da Rimpac in un secondo tempo, dopo averla ufficialmente invitata come atto di buona fede e con la speranza che potesse aprirsi ad una collaborazione multilaterale per la risoluzione della crisi del Mar Cinese Meridionale. Apertura che non è avvenuta nel corso di questi mesi, anzi, la Cina è andata in senso contrario provvedendo ad una maggiore militarizzazione delle isole con vere e proprie dimostrazioni di forza, pertanto gli Stati Uniti hanno deciso per la sua esclusione.

A maggio, un portavoce del Pentagono aveva infatti annunciato in una comunicato che “Gli Stati Uniti si impegnano per una regione indo-pacifica aperta e libera. La continua militarizzazione dei soggetti di disputa nel Mar Cinese Meridionale serve solamente ad alzare la tensione e destabilizzare la regione. Come risposta iniziale alla continua militarizzazione del Mar Cinese Meridionale da parte della Cina abbiamo deciso di ritirare l’invito alla Pla Navy per l’edizione di Rimpac 2018. Il comportamento della Cina non è in linea coi principi e obiettivi di Rimpac”.

Dal punto di vista diplomatico la decisione della Casa Bianca rappresenta un segnale di rottura rispetto alla linea politica tenuta dalla precedente amministrazione – nel 2016 la Cina aveva partecipato a Rimpac nonostante le tensioni nel Mar Cinese Meridionale – e ben si allinea a quanto Trump sta facendo in ambito economico/commerciale. Dal punto di vista militare la presenza per la prima volta di asset terrestri con la specifica funzione antinave è un chiaro segnale a Pechino che gli Stati Uniti ed i loro alleati – in particolare il Giappone – non intendono affatto cedere il passo davanti alla militarizzazione delle isole e all’allungamento del braccio armato di Pechino che, controllando il Mar Cinese Meridionale, si verrebbe a trovare nella condizione di controllare anche i traffici commerciali e a poter chiudere le importanti rotte marittime che vi passano.

Del resto la tipologia di mezzi e armi che la Cina sta schierando nelle isole – fisse o a rotazione – lascia intendere che si stia andando di gran carriera verso una possibile attività di “sea denial” nel quadro delle zone di A2/AD (Anti Access/Area Denial) che stanno nascendo nel Mar Cinese Meridionale. Attività militare che rientra nel quadro strategico di ampio respiro di Pechino che è volto a svolgere attività a vasto raggio in mare aperto distaccandosi quindi dalla dottrina di “near seas active defense” tenuta a partire dalla metà degli anni ’80. Un concetto che sta portando alla creazione di una Marina Militare “d’altura” – se ci concedete il termine – dotata di sistemi e unità moderne per fare concorrenza all’Us Navy nel dominio dei mari nel mondo, come dimostrato dalla sempre maggiore presenza di naviglio militare cinese coinvolto in esercitazioni anche in settori lontani come il Mediterraneo o il Baltico.

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