Tira sempre più vento di Guerra Fredda tra Stati Uniti e Russia, almeno per quanto riguarda l’approccio delle rispettive Forze Armate che si confrontano nei mari ma soprattutto nei cieli di confine, così come avveniva durante il periodo storico che ha visto contrapporsi i due blocchi ideologici della Nato e del Patto di Varsavia.
Secondo una fonte anonima ufficiale della Nato, riportata anche da La Repubblica, nel 2019 i caccia occidentali si sono levati in volo per intercettare velivoli “intrusi” russi 290 volte. Parimenti, dall’altra parte della barricata, la difesa aerea russa ha avuto molto da fare per controllare i voli di pattugliamento, ricognizione o semplicemente quelli “dimostrativi” degli aerei dell’Alleanza Atlantica che hanno effettuato missioni ai margini degli spazi aerei controllati da Mosca.
Proprio qualche giorno fa, mercoledì 10 giugno, due formazioni composte ciascuna da due bombardieri Tupolev Tu-95MS, due caccia Sukhoi Su-35 e un velivolo Aew (Airborne Early Warning) Beriev A-50 si sono avvicinate alla zona di identificazione aerea dell’Alaska, provocando il decollo su allarme (scramble) di caccia F-22 Raptor dalla base aerea di Elmendorf accompagnati da aerocisterne Kc-135 e da un aereo di sorveglianza radar E-3.
L’intercettazione è stata ripresa dall’equipaggio dei bombardieri russi, e pubblicata sul canale YouTube del Ministero della Difesa di Mosca, che ha riferito, in una nota stringata, che l’esercitazione si è tenuta “nello spazio aereo sulle acque neutre dei mari Chukchi, Bering e Okhotsk, nonché del Nord Pacifico” e che i velivoli decollati dalla base di Chukotka nella regione dell’Amur. La missione è durata in totale circa 11 ore ed è stata effettuata “in stretta conformità con le norme internazionali per l’uso dello spazio aereo”.
Quanto avvenuto nei cieli dell’Alaska è solo l’ultimo esempio di un confronto tra Russia e Nato, tra Mosca e Washington, che negli ultimi anni, complice la crisi diplomatica sopraggiunta post annessione della Crimea, si è portato su livelli che ricordano a tutti gli effetti quelli della Guerra Fredda.
L’Usaf, l’aviazione americana, recentissimamente ha effettuato una serie di missioni coi suoi bombardieri strategici – B-52H e B-1B – ai margini dei confini russi, nel Baltico e nel Mar Nero, con la scorta di velivoli della Nato, che sono stati regolarmente intercettati e seguiti dai caccia della difesa aerea di Mosca.
Nel Mediterraneo Orientale, al largo della Siria dove la Russia dispone di un’importante base aerea e navale, pattugliatori marittimi dell’Us Navy, i P-8 Poseidon, sono stati intercettati più volte dai caccia Su-35 decollati da Khmeimim e seguiti a distanza ravvicinata; anche troppo ravvicinata in almeno un’occasione quando un pilota russo, piuttosto spericolato, ha effettuato una manovra non ortodossa avvicinando il pattugliatore americano in volo rovesciato, forse per emulare l’azione vista in un ben noto film americano degli anni ’80.
I voli di ricognizione, e le naturalmente conseguenti intercettazioni, in alcuni settori caldi come quello del Baltico, dove la Nato con Polonia, Estonia, Lettonia e Lituania è direttamente a contatto col territorio russo, sono talmente frequenti che i piloti tedeschi di Lockheed P-3C Orion (un altro velivolo da pattugliamento marittimo e antisom) hanno creato una “toppa” (patch) non ufficiale che raffigura il pattugliatore accompagnato da un Su-35 su fondo coi colori misti delle bandiere russa e tedesca.
Le due parti si studiano, si osservano e si provocano in uno “scontro” che si gioca nei cieli ma anche nei mari, dove la flotta degli Stati Uniti è ricomparsa nei freddi mari artici che circondano la Russia molto di recente e dopo una “pausa” che durava sin dai primi anni ’90. Le reciproche missioni, in Europa e nel settore del Pacifico Settentrionale, sono quindi quasi all’ordine del giorno e vengono effettuate soprattutto per saggiare la prontezza dell’avversario: un bombardiere o un pattugliatore marittimo, come può essere un Orion o un Tupolev Tu-142, viene lanciato ai margini dello spazio aereo per provocare il decollo su allarme e per vedere quanto l’altra parte impiega a reagire e con quali strumenti.
Un gioco delle parti che veniva effettuato ai tempi della divisione del mondo in blocchi che è “tornato di moda” proprio sulla scorta dei reciprochi sentimenti di sfiducia e della tensione che regna tra la Nato e la Russia.
Non è solamente lo scacchiere europeo o quello del nord Pacifico, o nord Atlantico dove i bombardieri e pattugliatori russi più di una volta hanno effettuato puntate verso il Regno Unito e l’Islanda, ad essere al centro di questo gioco. Anche il Pacifico Occidentale, nella fattispecie la zona di competenza dei due alleati storici degli Stati Uniti ovvero il Giappone e la Corea del Sud, vede parimenti il ritorno nei cieli di bombardieri o velivoli spia russi, ma anche cinesi.
È proprio il ministero della Difesa nipponico a farci sapere, a metà dell’anno scorso, che dal 2014 l’attività dei velivoli russi è andata esponenzialmente crescendo segnando un picco proprio nel periodo che va dal marzo del 2017 al marzo del 2018: la Jasdf (Japan Air Self Defense Force) ha effettuato ben 390 decolli su allarme per intercettare aerei russi diretti verso lo spazio aereo nazionale. Nei dodici mesi successivi il numero di scramble ha visto una leggera flessione, passando a 343, ma complessivamente un’attività aerea simile non si è vista da decenni.
In almeno una occasione in quel settore di globo al centro di nuove tensioni, i velivoli russi sono stati accompagnati anche da bombardieri cinesi, rappresentando un avvenimento del tutto inedito che rende bene l’idea degli equilibri – fragili – che si sono delineati nella nuova geopolitica globale.