Le ragioni per le quali il Kosovo divenne indipendente nel 2008 e per le quali molti Paesi ancora non ne riconoscono l’indipendenza sono note ai più. Così come è notoria la faglia politica e militare che qui, nel cuore dei Balcani, pone da un lato la Serbia e i suoi legami con la Russia, e il Kosovo, assieme al suo rapporto con la Nato, dall’altro. Questa condizione, di per sé precedente allo scoppio del conflitto in Ucraina, alla luce degli ultimi accadimenti, fa della piccola nazione la periferia perfetta della guerra in Ucraina, ove i due fronti possono minacciarsi vicendevolmente, oltre che scatenare una battaglia per procura. A complicare il quadro della situazione, l’atteggiamento di reciproco sostegno che Kiev e Pristina hanno inaugurato dallo scoppio dell'”operazione speciale” in poi, contribuendo a sparigliare le carte.
Il Kosovo, precedente pericoloso per Kiev
Il Kosovo, inteso come vicenda internazionale, ha rappresentato da sempre una questione delicata per l’Ucraina, poichè Mosca ha sempre utilizzato questo precedente per giustificare l’annessione dei territori russofoni, prima, e l’invasione, poi. Facendo un passo indietro, l’indipendenza kosovara aveva creato nel 2008 non poche tensioni in Europa come all’Onu, oltre a severe perplessità da parte di alcune nazioni europee alle prese con tumulti interni Cipro, Grecia, Romania, Slovacchia e Spagna. L’indipendenza di Pristina, infatti, riconosciuta da 101 nazioni Onu su 193, risiede in quella zona grigia del diritto internazionale che si pone fra il diritto all’autodeterminazione e l’integrità territoriale di una nazione sovrana.
Quando nel 2008 l’Unione Europea concesse l’avallo all’indipendenza, la scelta – appoggiata dagli Stati Uniti – non fu affatto unanime, poichè apriva un nuovo terreno di scontro con la Russia e metteva in discussione una rapida integrazione della Serbia nell’Unione Europea. Il vizio congenito di quell’operazione forzata faceva sentire le sue conseguenze in seno al Consiglio di sicurezza Onu, dove l’Europa non ha esitato a sfidare le ambizioni russe di riprendersi un ruolo politico oltre gli Urali. Su quella presa di posizione, Mosca ha costruito la sua nuova weltanschauung che ha fatto da sostrato agli interventi in Ossezia del Sud, in Crimea e nel Donbass. Ed è con questo tipo di argomentazioni che soffia sul fuoco balcanico, che ancora oggi si lascia andare a grandi e vetuste narrazioni come quelle sulla grande Serbia.

Il Kosovo e la disunione europea
Accanto alla recente crisi delle targhe, l’intricata vicenda del Kosovo è recentemente approdata al Consiglio d’Europa. Lo scorso 24 aprile, il comitato dei ministri del Consiglio hanno dato un primo assenso all’ingresso di Pristina all’interno dell’istituzione transeuropea con 33 voti a favore, 7 contro e 5 astensioni. Un altro premio nel medagliere di Albin Kurti che, lo scorso dicembre, aveva inoltrato la domanda per l’adesione della piccola nazione all’Unione Europea. Astensioni e voti contrari permettono di delineare come e perché il Kosovo sia una questione delicata anche per le vicende ucraine: tra i voti contrari quelli di Cipro, Spagna, Romania, Serbia ma soprattutto quello dell’Ungheria di Orban: una contraddizione solo apparente poichè, pur riconoscendo il Kosovo, Budapest è alle prese con un progressivo flirt di Orban con Vucic, tessuto pazientemente nel tempo.
Ad astenersi, invece, Grecia, Slovacchia, Moldavia, Bosnia ma soprattutto l’Ucraina. Un risultato ancora più importante se, come va ricordato, quattro Paesi Nato-Ue (Grecia, Romania, Slovacchia, Spagna) e uno Ue-non Nato come Cipro non riconoscono il Kosovo. Questo equivale a bloccare il futuro di Pristina nell’Unione come nella Nato. Una disunione che non fa altro che legittimare l’asse serbo-russo nel voler proseguire a oltranza la destabilizzazione dei Balcani a base di sentimenti anti-Nato e rivendicazioni etniche. Astensioni e voti contrari si aggiungono, poi, al significato politico del ritiro del riconoscimento da parte di 27 Paesi del Terzo Mondo, che hanno privato Pristina del loro appoggio nel corso di questi quindici anni.
Perché Kiev sostiene il Kosovo indipendente
Alla luce di questi aspetti, Kiev e Pristina dovrebbero essere agli antipodi di questi complessi intrecci europei, ed invece hanno intessuto, dallo scoppio della guerra in poi, una relazione inaspettata: dall’invasione dell’Ucraina il Kosovo è stato un forte sostenitore di Kiev, mentre la Serbia continua ad essere messa nell’angolo per le sanzioni alla Russia. Non a caso, nel gennaio scorso, era stata proprio Kiev, dalla voce del deputato Oleksiy Goncharenko, ad invitare i Paesi europei mancanti all’appello a riconoscere l’indipendenza kosovara.
Viene da chiedersi perché mai, visto che il Kosovo sarebbe, all’origine, una sorta di Donbass in terra serba. Ed invece la ragione esiste ed ha una sua coerenza: la vicenda, aggrovigliandosi su se stessa, porta la difesa del Kosovo ed il suo riconoscimento a divenire non più una minaccia all’integrità territoriale o alla Carta dell’Onu, bensì una sconfitta per le ambizioni di Mosca e Belgrado. Questo è, oggi, il più grande desiderio di Kiev. Un desiderio urgente, poichè in quel di Belgrado alcuni esponenti del parlamento serbo iniziano a discettare di operazioni inquietanti sul suolo balcanico: è il caso del deputato serbo Vladimir Dukanovic che aveva vagheggiato sulla possibilità che la Serbia si vedesse costretta a “denazificare i Balcani“. Una frase per la quale si era poi scusato, ma che tradisce l’humus culturale che lega serbi e russi. La speranza per Kiev è, dunque, quella di infliggere un duro colpo diplomatico a Mosca pacificando i rapporti tra Pristina e Belgrado, inducendo Vladimir Putin a mollare sul fronte principale e Vucic a rifiutare di stare con il piede in due scarpe: quella europea e quella russa.