L’11 settembre del 2001 il mondo guardava con occhi impauriti e impotenti le immagini che arrivavano dagli Stati Uniti. Gli aerei nelle Torri Gemelle, l’incubo che diveniva tangibile, il peso di una guerra totalizzante che si faceva di ora in ora sempre più concreto, imminente. L’orrore era nelle istantanee delle persone che si lanciavano dalle finestre del World Trade Center in fiamme e il mondo sembrava immobilizzato in un fotogramma di tragedia. Non esisteva altro in quei giorni, tutto era racchiuso nei due aerei che colpivano la Grande Mela e facevano franare le coscienze e le certezze di ognuno, a qualsiasi latitudine, in un incubo corale di paura e vulnerabilità. Ma pochi giorni dopo quell’attacco un altro orrore, lontano dai media e dallo sguardo internazionale, si consumava, e continua a consumarsi tutt’ora in Africa. Il 18 settembre infatti, ad Asmara, la radio di stato in modo perentorio e senza concessione alcuna mandava in onda questo comunicato: “A partire da oggi, 18 settembre 2001, il governo ha ordinato a tutti i media privati di fermare le pubblicazioni”. Nel neonato stato africano, il presidente Isasyas Afeworki dava inizio al suo regime divenuto uno dei più cruenti e liberticidi della nostra contemporaneità. L’Eritrea, ex colonia italiana e poi sotto controllo britannico fino al 1950, era, al termine della seconda guerra mondiale, una provincia autonoma dell’Etiopia. Il regime di Menghistu però mirava all’annessione e sottomissione della regione affacciata sul mare e così, un desiderio di indipendenza da un lato e un governo dispotico dall’altro, arrivarono a scontrarsi in campo aperto in una guerra che ebbe inizio negli anni 60 e che si concluse a inizio anni 90 lasciando sul terreno quasi mezzo milione di morti. L’indipendenza dell’Eritrea ,sancita da un referendum nel ’93, all’inizio venne accolta da un tripudio di lirismo libertario e dalla speranza che lo stato del Corno d’Africa potesse divenire un laboratorio democratico e traino per future democrazie in una regione che all’epoca era puntellata da regimi e guerre civili. I sogni però si infransero presto: nel ’98 infatti un nuovo conflitto contro l’Etiopia, dopo due anni la cessazione delle ostilità, ma con loro prese consapevolezze nella società che il governo stava dirottandosi sempre più verso posizioni dittatoriali. Ecco dunque che un gruppo di ministri ed ex compagni d’armi di Afeworki si fecero portavoci del malcontento generale e scrissero una lettera al presidente chiedendogli l’introduzione di misure più democratiche. La risposta dell’ex leader ribelle, e poi guida del Paese, non si fece attendere e anziché concedere libertà, mise in moto la macchina repressiva. Il 18 settembre di quindici anni fa iniziarono gli arresti, le torture e le sparizioni e il Paese precipitò in un vortice di oppressione e terrore che ancor oggi perdura. A 15 anni di distanza l’Eritrea è infatti l’ultimo Paese al mondo per le libertà di stampa, almeno 10mila prigionieri politici sono detenuti da decenni in più di 300 carceri che formano un vero e proprio arcipelago Gulag africano e una coscrizione obbligatoria e indefinita costringe tutti i giovani a partire dai 17 anni a svolgere il servizio militare per anni, in alcuni casi la leva può durare anche 30 anni. È per questa situazione che 60mila persone ogni anno cercano di fuggire dall’Eritrea, e secondo il Viminale, tra il 2014 e il 2015, in Italia sono arrivati quasi 70mila rifugiati dal paese di Afeworki. Ma sebbene la storia sia lapidaria e intransigente, un po’ meno a volte sono i risvolti di quest’ultima. Ed è così che ad aprile, Bruxelles, all’interno del Fondo per lo Sviluppo, ha deciso di destinare 200milioni di euro ad Asmara. Una decisione che è stata criticata dal Parlamento Europeo stesso, ma nonostante ciò, la prima tranche di circa 20milioni è già stata concessa. E se da un lato l’accordo punta a migliorare l’economia del Paese dall’altro però legittima il regime, che oggi spegne le 15 candeline di annichilimento di ogni libertà. Foto tratta da Wikipedia
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