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La guerra in Ucraina ha messo a dura prova l’economia e l’alimentazione di molte aree del mondo. Questo il caso di Siria, Libano e Libia. Questi tre Paesi attraversano crisi analoghe e battaglie comuni come l’inflazione alle stelle, una crisi istituzionale che imperversa e in almeno due casi guerre civili che durano da anni. Un pericoloso mix esasperato dal conflitto che insanguina l’Est Europa.

La Siria tra mancanza di cibo e crisi turca

Il Paese dopo undici anni di conflitto è al collasso e la situazione è stata aggravata dalla pandemia di Covid-19. Almeno il 90% della popolazione vive sotto la soglia di povertà e gran parte di essa dipende dagli aiuti umanitari ma a adesso le forniture alimentari internazionali, indispensabili per il sostentamento della popolazione, vengono dirottate dalla Siria all’Ucraina creando così una gravissima crisi alimentare e umanitaria. Secondo un rapporto dell’Ocha (Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari) più del 60% della popolazione siriana – 12 milioni di persone – soffre la fame e non riesce a mettere cibo in tavola. Le organizzazioni umanitarie non riescono più a reperire cibo – principalmente farina e olio – a causa della guerra russo-ucraina e del drastico aumento dei prezzi.

Il World Food Program ha già annunciato che dovrà ridurre i pacchetti alimentari destinati alle famiglie siriane poiché con l’aumento dei prezzi alimentari è moltiplicato se non triplicato anche il costo degli aiuti stessi. I fondi insomma sono limitati e le crisi a cui sopperire aumentate. Questo ha portato il Paese ad attingere alle riserve di grano che, già molto ridotte, dureranno solo per qualche mese. La produzione locale, già quasi inesistente, è stata messa a dura prova da un periodo di grave siccità, il peggiore in più di 70 anni, che ha colpito l’accesso all’acqua potabile. La crisi idrica ha decimato il raccolto di grano locale con una produzione scesa di 2,8 milioni di tonnellate nel 2020 ad appena 1,05 milioni di tonnellate nel 2021.

La Siria è stata toccata e influenzata anche dalla crisi economica turca che ha reso la situazione ancora più complicata a quella zona del Paese che ha adottato la lira turca come valuta. Ankara ha visto la sua moneta perdere di almeno il 44% del suo valore, quasi la metà, e questo ha portato a un aumento del prezzo del carburante e dei prodotti alimentari. Si stima che i prezzi dei prodotti alimentari siano aumentati del 65% e quelli del carburante siano passati da 1,37 dollari al litro in aprile a 1,35 nel marzo del 2022. La crisi della lira turca ha colpito in particolare la zona di Idlib, controllata da quello che resta dei ribelli siriani e che vive sotto la valuta turca da un anno a questa parte.

Già a gennaio i prezzi erano aumentati dell’86%. Ma non è solo la connessione monetaria il problema, anche quella commerciale ha il suo peso. Nel nord del Paese tutto viene importato e poco o niente prodotto, questo porta ovviamente la popolazione ad essere quasi completamente dipendente da Ankara. I siriani di Idlib faranno fatica a far fronte agli shock dei prezzi e ad ogni oscillazione della lira turca l’economia siriana ne risente particolarmente.

Mentre la crisi promette di peggiorare, le organizzazioni umanitarie chiedono di avere più fondi per poter fronteggiare la situazione e poter fornire cibo e assistenza alla popolazione siriana. Il direttore esecutivo del World Food Program, David Beasley ha detto che servirebbero almeno 480 milioni di dollari ma che riusciranno a finanziarne solo il 31% lasciando così scoperti milioni di persone che hanno bisogno di assistenza. Le organizzazioni che operano nella zona di Idlib inoltre non riescono a trovare donatori stranieri perché riluttanti a investire in progetti di stabilizzazione nell’area a causa della presenza turca e della morsa dell’organizzazione islamista Hayat Tahrir Al-Sham sulle autorità locali.

Libano e quella dipendenza da Kiev

Tra chi fa i conti con la fame c’è sicuramente il Libano. Il paese soffre la mancanza di cibo dal 2019, quando il debito pubblico ha raggiunto i massimi livelli con circa il 170% del Pil, facendo sprofondare il Paese in una gravissima crisi finanziaria. Il baratro è stato raggiunto nel 2020 quando è stata dichiarata la bancarotta non riuscendo a ripagare la prima tranche di debito su un eurobond emesso nel 2010. La conseguenza immediata di questa crisi finanziaria è stata la svalutazione della lira libanese rispetto al dollaro. D’un tratto il paese, chiamato la Svizzera del Medio Oriente per il suo alto tenore di vita, si è ritrovato con gli scaffali vuoti e con prezzi altissimi. Una condizione che non poteva andar bene per le tasche dei libanesi che disponevano di salari svalutati in brevissimo tempo, infatti il potere di acquisto si è ridotto del 90% e circa il 70% della popolazione vive sotto o al limite della soglia di povertà. Il cibo è diventato un bene di lusso, in un Paese dove le importazioni di generi alimentari supera il 28% delle importazioni totali e che riguarda una vasta gamma di generi alimentari.

A tutto questo si è aggiunge la tonnellata di grano andata distrutta nell’esplosione del porto di Beirut del 2020, dove erano stipati vari silos di grano. Il Libano importa più dell’80% del suo grano dall’Ucraina e adesso soffre della riduzione di importazione di grano dal suo principale fornitore e dall’aumento dei prezzi. La farina è pesantemente razionata e i prezzi del pane sestuplicati.

La crisi ha anche toccato l’aspetto energetico. Il Paese importa tutto il petrolio e il gas che consuma aggirandosi sui 30 milioni di dollari. A marzo un’isteria di massa ha imperversato nella popolazione che ha assaltato le stazioni di servizio per precedere l’aumento dei prezzi sul gasolio. Il problema energetico potrebbe avere ripercussioni più gravi di quelle del grano poiché genererebbe pressioni inflazionistiche che andrebbero ad attaccare l’intera economia libanese, già al collasso da due anni. L’elettricità viene razionata e le città ne possono usufruire solo per poche ore al giorno di conseguenza tutte le attività rimangono ferme comprese quelle alimentari come panifici e supermercati. Uno scenario pericoloso che potrebbe anche riaprire le vecchie ferite della guerra civile.

Libia: un caos politico e umanitario

Altra area di crisi che con la guerra in Ucraina ha visto peggiorare la sua situazione economica e sociale è la Libia che è dipendente del 90% dal grano ucraino e russo. Al contrario del Libano, la Libia ha una scorta strategica di grano che potrebbe permettere al Paese di sopravvivere alla crisi per tre mesi ma la situazione rimane grave dal momento in cui i panifici non riescono più a rivendere il pane al prezzo precedente. Ma stranamente è la crisi energetica il vero problema della Libia a causa della guerra.

Nonostante sia ricca di petrolio, membro dell’Opec e fornitore per molti paesi, la Libia deve comprare il gas straniero perché non riesce a sopperire al consumo interno, esponendosi così ai prezzi di mercato e alle sue oscillazioni. Tutto questo in una situazione politico istituzionale delicata che vede conflitto tra due governi autoproclamatisi legittimi. Un esecutivo con sede a Tripoli riconosciuto dal mondo occidentale e un altro eletto a Tobruk sostenuto da Mosca. Questi due governi non convengono tra di loro riguardo a come gestire i sussidi e approvare i cambiamenti negli stanziamenti di bilancio. Ma i disaccordi non si esauriscono nelle sedi esecutive. A peggiorare ulteriormente vi sono la National Oil Corporation e la Banca Centrale della Libia che da marzo non riescono a trovare un accordo su dove depositare gli introiti della vendita di petrolio. Queste divergente comportano uno stallo e un ritardo nelle mosse strategiche volte a tamponare la crisi ma soprattutto ad alleviare l’aumento dei prezzi sulle materie prime.

A differenza degli altri due paesi la questione politico istituzionale gioca un ruolo preponderante nell’ambito della guerra in Ucraina. La rivalità tra i due esecutivi è diventata più feroce per la vicinanza tra Tobruk e Mosca. Quest’ultima infatti è l’unica ad aver riconosciuto il governo guidato da Fathi Bashagha aprendo così un’altra spaccatura con l’Onu e l’Occidente. Malgrado ciò Bashagha vuole comunque mantenere le distanze da Mosca e il 26 marzo ha incontrato l’ambasciatore ucraino annunciando il suo sostengo al popolo ucraino. Ma ricordiamo che nel paese sono stanziati i mercenari russi del gruppo Wagner che dal 2019 hanno avuto un grande impatto sulla guerra libica e sulla spaccatura in seno alle istituzioni. Ed è questo uno degli elementi di crisi scaturiti dalla guerra Ucraina. Mosca potrebbe utilizzate la Libia e le risorse che vi ha dispiegato nella lotta contro l’Occidente. La Libia ridiventa così una pedina nello scacchiere Russia-Occidente debole delle sue crisi interne. Una matassa difficile da districare che allontana sempre di più la possibilità di andare al voto.

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