Sette delle quattordici operazioni di peacekeeping delle Nazioni Unite nel mondo sono in Africa e sono tra loro molto eterogenee per dimensione, budget, finalità e truppe impiegate. Queste missioni, per mandato del consiglio di sicurezza, devono seguire tre principi: imparzialità; consenso delle parti coinvolte; uso della violenza unicamente per autodifesa o a difesa del proprio mandato. Mentre questi principi sono pedissequamente rispettati, il coinvolgimento, o meno, delle grandi potenze nelle operazioni non appare casuale.
Africa Occidentale
In Africa Occidentale sono presenti due missioni molto differenti fra loro, la Minurso e la Minusma. La Minurso ha come obiettivo quello di garantire, prima o poi, lo svolgimento di un regolare referendum nei territori del Sahara Occidentale, tutt’oggi contesi tra l’Algeria, il Marocco e la popolazione locale. La missione è attiva dal 1991 e conta 485 unità, di cui 245 militari. Tra i quattro stati che forniscono il maggior numero di truppe, troviamo l’Egitto (25 militari) e la Russia (16), due player impegnati da anni in una costante rimodulazione della loro immagine agli occhi della comunità internazionale.
La Minusma, in Mali, prende il via nel 2013, poco dopo l’operazione militare francese Serval, che frena l’avanzata dei Tuareg e di altri gruppi armati verso Bamako. Nonostante la collaborazione con l’operazione Barkhane (ex Serval) e il G5 del Sahel, l’area è ancora profondamente instabile. Il budget annuo della MINUSMA supera un miliardo di dollari e sono impiegati oltre 15000 militari. Gli Stati che supportano militarmente la missione sono interessati a contenere la crisi maliana (Burkina Faso, Chad, Niger, Nigeria, Senegal). Eccezion fatta per il Bangladesh, spesso presente nelle missioni delle Nazioni Unite in Africa, fra chi mette a disposizione più truppe figurano anche due importanti attori esterni: Germania (408) e Cina (403). Questo contributo è dovuto, in parte, alla presenza di ricche risorse minerarie, in particolar modo uranio – motivo per cui la Francia è sul campo con una sua missione autonoma. La Germania, inoltre, è interessata alla stabilità della regione per la gestione dei flussi migratori di cui il Mali è uno degli snodi principali.
Africa Centrale
Le due operazioni di peacekeeping dell’Onu in Africa Centrale sono molto simili fra loro. La Minusca è la missione di stabilizzazione della Repubblica Centrafricana. Nasce nel 2014, in seguito allo scoppio della guerra civile. Malgrado i numerosi accordi di pace firmati tra le parti, permangono scontri e violenze. La missione ha carattere quasi esclusivamente “regionale”, poiché le truppe presenti sono ruandesi, egiziane, zambiane, camerunensi e senegalesi.
La Monusco è un’operazione che nasce nel 2010 ed ha lo scopo di stabilizzare la Repubblica democratica del Congo, sconvolta prima dal genocidio del Rwanda (1994) e poi dalle guerre del Congo, 1998 – 2003 (oltre 5 milioni di morti). Sono presenti sul campo oltre 18mila tra militari e personale di polizia. La Rdc, afflitta da milizie armate, epidemie e una sanguinosa lotta per le risorse del sottosuolo, è un’area di profondo interesse geostrategico. Il coltan estratto nel Nord Kivu, ad esempio, è la base materiale per smartphone, notebook e auto elettriche. È interessante notare che né grandi potenze, né Stati confinanti sono coinvolti militarmente nella missione, il cui peso ricade su Pakistan, India, Bangladesh e Marocco.
Corno d’Africa
Nel Corno d’Africa sono attive tre missioni di peacekeeping due nel Sudan e una nel Sud Sudan. L’Umamid ha inizio nel 2007, in seguito al genocidio del Darfur (2003), e coopera con l’Ua. Affianca la protezione militare dei civili, con 19248 uomini, alla loro reintegrazione nel sistema politico del Sudan. Rwanda ed Etiopia ricoprono un ruolo centrale per numero di truppe e supporto logistico forniti.
Dopo la nascita del Sud Sudan, 2011, l’UN attiva due missioni di peacekeeping nella regione: Unmiss e Unisfa. L’Unmiss nasce nel 2011 nel Sud Sudan. Dopo aver ottenuto l’indipendenza, il paese piomba in una sanguinosa guerra civile, dettata da personalismi e strumentalizzazioni dell’elemento etnico, che si acuiscono dal Dicembre 2013. Come nel caso dell’UNAMID, a prestare il maggior contributo militare sono Etiopia e Rwanda. L’Unisfa ha base ad Abyei, nella regione del Kordofan Meridionale. Abyei, dopo la scissione del vicino Sud Sudan, è stata oggetto di violenti scontri e di una contesa, mai risolta, tra nazionalisti e indipendentisti. Nel giugno 2011, le Nazioni Unite hanno predisposto l’avvio della missione, che consta unicamente di truppe etiopi (oltre 4mila militari). L’Etiopia, da un lato è direttamente interessata a stabilizzare uno Stato confinante; dall’altro, cerca di imporsi come punto di riferimento per la comunità internazionale nella regione.
Nonostante sia innegabile la bontà e l’utilità di queste missioni, è evidente che la presenza, o l’assenza, di grandi potenze non è mai casuale. La partecipazione militare, o il supporto finanziario (gli Usa sono il primo donor), sono tutt’altro che disinteressati e sono una valida cartina tornasole degli equilibri geopolitici odierni.