Israele ha iniziato a sviluppare un pionieristico sistema di intercettazione missilistica basato sul laser che potrebbe diventare i nuovo punto di forza della rete di difesa antiaerea dello Stato ebraico, esposto al rischio di essere bersaglio dal lancio di razzi, missili a corto e medio raggio e droni kamikaze.
Fin dagli anni Novanta, sia Israele che gli Stati Uniti – principali partner e fornitori militari del governo israeliano – hanno esaminato a lungo la possibilità di sfruttare i laser per intercettare i missili in arrivo e sventare una minaccia balistica. Tutti i progetti si sono sempre basati su laser chimici ma vennero piano piano accantonati nel primo decennio del XXI secolo, per lasciare definitivamente spazio a difese convenzionali di nuova generazione, concludendo – almeno fino ad oggi – che i sistemi di difesa antimissile basati sul laser non erano “realistici”, e che difficilmente avrebbero raggiunto le esigenze operative. Questo condusse Israele alla scelta di appoggiare lo sviluppo, a produrre e a dotarsi, dei sistemi Arrow, Iron Dome e David’s Sling: ossia i pilastri della bolle di difesa israeliana, che proteggono lo Stato ebraico da incursioni e attacchi missilistici di ogni genere e portata.
L’acquisizione di questi sistemi, segnalano gli analisti di Hareetz, ha comportato l’investimento di budget dispendiosi, sollevando le critiche dei sostenitori della tecnologia laser, che almeno in una fase successiva allo sviluppo e allo schieramento, garantirebbe dei risparmi sensibili su quelle che possiamo tranquillamente definire le “munizioni”, se si considera che un solo missile del sistema Iron Dome costa decine di migliaia di dollari e un solo missile Arrow costa tre milioni. Il sistema Iron Dome si è sempre dimostrato all’altezza delle aspettative, garantendo un con tasso di intercettazione/soppressione della minaccia approssimabile al 90% in tutte le occasione in cui le sirene antiaeree hanno squillato in Israele. Adesso però le nuove tecnologie sembrerebbero aver convinto dal Difesa israeliana che la via del “laser” per difendere il proprio spazio aereo non solo è percorribile. Ma è auspicabile. E che la percentuale di “intercettazione” può essere aumentata fino a rasentare il 100%: soprattutto in vista delle crescenti minacce che provengono da Hamas al sud e da Hezbollah al nord. Per non parlare della crisi con l’Iran, che se dovesse scegliere un bersaglio secondario agli Stati Uniti, per portata e inimicizia, sceglierebbe senza alcun dubbio Israele.
Nel prossimo piano pluriennale dell’Israel Defence Forces – una volta superato questa gravosa impasse politico – entrerà quindi in gioco il programma per rendere attiva l’intercettazione laser. L’informazione è stata confermata dallo stesso ministero della Difesa, che viene riportato come estremamente ottimista a riguardo, complice il prestigio degli scienziati che porteranno avanti il programma per cui sono già stati stanziati centinaia di milioni di shekel. Questa svolta tecnologica, secondo le fonti, consentirà a Israele di inserire nel suo arsenale potenti laser che innalzeranno una sorta di “strato complementare al sistema esistente”, e che saranno in grado di “contrastare proiettili di mortaio, missili anticarro e droni”. Tutte minacce che attraversano lo spazio aereo a bassa quota e rischiano di “sfuggire” al sistema Iron Dome.
Ad occuparsi del progetto, saranno Rafael Advanced Defense Systems e Elbit Systems, che coadiuveranno gli esperti israeliani in quello che si preannuncia essere un grande programma per la difesa; e anche se anche è vero che esiste un vecchia diceria degli ambienti militari che sostiene come “un progetto medio” finisca con il costare tre volte di più rispetto alle stime originali”, i prospetti garantiscono che una volta schierato, il laser potrà eliminare con il suo raggio ogni tipo di minaccia al prezzo di pochi dollari, salvando chissà quante vite umane.