Gli analisti del Pentagono lo chiamano “arco d’acciaio”. Si tratta di un’ideale tratto militarizzato dai russi in grado di confrontarsi con le forze della Nato in un ipotetico scontro. L’arco d’acciaio sarebbe stato espressamente teorizzato sulle capacità della Marina russa di contrastare quella della Nato e degli Stati Uniti. Appare evidente come al centro della nuova strategia marittima del Cremlino vi siano i mari che circondano la Russia, in un arco teorico di proiezione che va dall’Artico al Mediterraneo.
Mosca ha investito miliardi di dollari nel riattivare le basi nell’Artico e nel dislocare battaglioni operativi a protezione delle batterie missilistiche a medio e lungo raggio. Le capacità russe nel Baltico continuano ad aumentare mentre la flotta permanente del Mediterraneo è supportata dalla rinata capacità nel Mar Nero. L’arco d’acciaio andrebbe visto come la risposta russa al percepito accerchiamento militare delle strutture militari della Nato ed una capacità di proiettare il potere nel settore marittimo.
La Siria, al di là della guerra, rappresenta la prima vera base nel Mediterraneo orientale dalla fine della guerra fredda.Siamo davanti ad una vera e propria strategia di negazione del mare focalizzata sulle forze marittime della Nato. L’obiettivo russo è quello di monitorare l’attività della Nato e scoraggiare possibili operazioni. Il programma di riarmo di Putin si concluderà nel 2020. Entro quattro anni, nelle intenzioni del Cremlino, saranno in servizio svariate piattaforme di ultima generazione in grado di contrastare efficacemente anche gli Stati Uniti. Basti pensare che l’attività sottomarina russa è aumentata già del 50% rispetto lo scorso anno per ritmi operativi mai visti in più di dieci anni. Alla capacità militare dobbiamo aggiungere anche quella asimmetrica maturate e strutturata per paralizzare con svariate attività il ciclo decisionale dell’Alleanza, specialmente focalizzato sul mare. Entro il 2020, i russi potrebbero “attivare” ufficialmente l’arco d’acciaio, rendendo nullo anche lo Scudo (progettato in un’era in cui si credeva che la minaccia principale fosse di natura balistica), a breve superato dai sistemi ipersonici che entreranno in produzione tra due anni.