Quando la videochiamiamo, nella cucina di Marina regna il silenzio della notte fonda. A Kharkiv, nell’est dell’Ucraina, sembra una normale serata d’aprile, una delle tante che precede l’arrivo della Pasqua. Lei è intenta a preparare dolci: piccoli panettoni ricoperti di glassa. Ogni tanto sobbalza ma non si interrompe: i missili che nell’impatto col terreno fanno tremare tutto non la fermano. Vuole donare uno spicchio di normalità a quei soldati che difendono la sua città. La parvenza che ci sia ancora qualcosa da festeggiare. “Ce l’abbiamo fatta – racconta a qualche mese di distanza – insieme ad alcuni volontari abbiamo consegnato cinquecento panettoni a diversi militari intorno a Kharkiv”. Ad aprile 2022, mentre in città si combatteva l’assedio russo, Marina Holovko ha messo su un gruppo di persone per rendere omaggio, in qualche modo, a quella barriera umana che li teneva in vita.
L’inizio della guerra a Kharkiv
Da Kharkiv lei non se n’è mai andata. Ha trent’anni e vive lì con suo marito e i due figli, di otto e quattro anni. Quando il 24 febbraio l’esercito russo ha dato il via all’invasione del suo Paese è rimasta sospesa in un limbo ignoto per qualche ora: “Non volevamo credere che la guerra fosse iniziata. Ci siamo svegliati alle 5 del mattino con il suono dei bombardamenti in lontananza e non volevamo crederci”. Una lontananza relativa. Kharkiv si trova a soli ottanta chilometri da Belgorod, la prima grande città russa che si incontra una volta superato il confine. Invece la guerra ha fatto irruzione e ha trovato la famiglia di Marina impreparata. Non avevano fatto scorte di cibo o medicinali, non avevano allestito una stanza dove proteggersi, non avevano preparato i figli a cosa vuol dire vivere in guerra.
Qualche settimana prima erano cominciate a circolare alcune regole di sopravvivenza nel caso in cui i russi avessero attaccato tra cui quella di ripararsi in un luogo senza finestre. Così, in quelle prime ore di assedio, il corridoio d’ingresso alla loro casa è diventata tutta la loro casa. Insieme a suo marito e i figli è rimasta lì per giorni. Continuavano a sentire l’avanzare delle truppe russe in città e ogni volta i rumori di missili e bombardamenti erano sempre più vicini. “Abbiamo parlato costantemente con loro, naturalmente non senza paura, ma tutto è andato bene. Certo, molti mi dicevano che ero pazza, perché non lasciavo la città con i miei figli”.
I figli di Marina si chiamano Kirill e Alisa: “Poco dopo l’inizio della guerra abbiamo spiegato loro cosa stesse succedendo. Nei periodi in cui bombardavano pesantemente la città, il rumore dei missili faceva tremare la casa, c’era una costante sensazione di terremoto e avevano paura. Nonostante questo, però, non hanno mai pianto”.
Dopo la riconquista ucraina
Mesi di assedio fino a inizio settembre quando le truppe russe sono state costrette a lasciare la città dopo l’offensiva lanciata con successo dalle forze ucraine nella parte sud orientale della regione di Kharkiv. Nella loro ritirata, centinaia di veicoli blindati sono stati abbandonati in strada mentre la bandiera ucraina issata e fatta sventolare di nuovo sugli edifici.
All’alba del primo anniversario dall’inizio dell’invasione, il conflitto si sta concentrando nel Donbass e, in particolare, a Bakhmut, nell’oblast di Donetsk. L’impressione è che, dopo un inverno sostanzialmente fermo nelle conquiste militari, l’esercito di Mosca stia preparando una nuova grande offensiva per conquistare Bakhmut anche se non si sono mai interrotti i raid missilistici sulle altre città ucraine, tra cui Kharkiv. Ci sono quartieri rasi al suolo, altri distrutti quasi del tutto, zone rimaste intatte. Con il tempo Marina si è abituata ai rumori e alle immagini della guerra ed è per questo che quando lo scorso 11 gennaio parte di un missile lanciato dai russi è finito su uno stabilimento di fuochi d’artificio, pensava che stessero arrivando di nuovo in città. Non è stato così. I russi hanno continuato a lanciare attacchi ma non si sono mai rimpossessati di questo territorio.
L’abitazione di Marina è una palazzina privata nel centro di Kharkiv, ed è per questo che, ad eccezione dei black-out controllati, la luce e il riscaldamento in casa sua non sono mai mancati. Sua madre, invece, non si è mai voluta spostare dal palazzo in cui vive. Ha visto tutti i missili partire in lontananza e puntare un obiettivo in città. Ad essere stata distrutta è stata anche la fabbrica dove lavorava suo marito: un’azienda che costruiva prezzi per diversi macchinari tra cui anche carri armati. Rimasto senza lavoro, oggi aiuta Marina con i dolci e stanno provando a mettere su un vero e proprio business familiare, una pasticceria in casa. Ma di occasioni per festeggiare, oggi, ce ne sono poche.
Alla domanda “cosa si aspetta dal futuro?”, rimane qualche istante in silenzio, poi sorride: “Questa risposta è difficilissima – torna seria – vorrei rimanere nel mio Paese, libero. Nel futuro credo molto, credo che i cittadini di Kharkiv non penseranno più a come sopravvivere ma a vivere”. Uno sguardo positivo su ciò che verrà, come l’albero di Natale che il sindaco della città ha fatto installare nella metropolitana o come Kirill che a 8 anni sa già tanto della guerra: “Qualche mese dopo la liberazione è venuto verso di me e suo padre e con la pistola giocattolo ci ha detto ‘Non vi preoccupate, se tornano i russi vi difendo io’”.