Il conflitto israelo-palestinese sta assumendo dimensioni temibili per la geopolitica regionale, che proprio quest’anno – tra la normalizzazione dei rapporti tra sauditi e iraniani, il ritorno della Siria nella Lega Araba e il possibile allargamento degli Accordi di Abramo – aveva dato una parvenza di stabilizzazione. Ora però l’attacco di Hamas ha infiammato una guerra che potrebbe far vacillare ognuno di questi progressi. Tra le vittime potrebbe esserci l’idea di Siria di Bashar al-Assad.

La Siria ribolle

Il conflitto che affligge il Paese dal lontano 2011 si è riattivato già prima dell’assalto di Hamas in Israele. Il fronte settentrionale si è mostrato particolarmente caldo: l’eterno scontro tra i curdi siriani e il governo di Ankara si è ripresentato all’inizio del mese, quando un attentato kamikaze ha colpito il ministero dell’Interno turco ferendo membri del personale. L’aggressione è presto stata rivendicata dal PKK, il Partito dei lavoratori del Kurdistan, riconosciuto come organizzazione terroristica non solo dalla Turchia ma anche da Unione Europea e Stati Uniti. L’intelligence turca ha ritenuto che gli attentatori fossero penetrati dalla Siria e le forze aeree turche hanno bombardato le posizioni dei curdi siriani nel nord-est del Paese, ma lì hanno commesso un errore grossolano.

Intorno alla città di Hasaka è di stanza un contingente di circa mille soldati americani che al fianco delle Forze democratiche siriane combattono le rimanenze dell’Isis. Il 5 ottobre, le incursioni aeree turche sono arrivate ad un chilometro dalle teste dei soldati americani ed è subito scattata la reazione: un F-16 dell’Air Force ha abbattuto un drone armato turco, causando un incidente senza precedenti tra due alleati Nato. Similmente, volendo colpire le basi del PKK nel nord dell’Iraq, pare che le forze turche si siano avvicinate pericolosamente alle basi che ospitano circa 2500 soldati americani che collaborano con le forze governative e con i Peshmerga per contrastare un rilancio dell’Isis – e, come in Siria, per limitare l’ingerenza iraniana.

Il rafforzamento dell’opposizione

L’incidente del drone e più in generale il tentativo turco di colpire forze alleate Usa ha messo in contrapposizione Ankara e Washington destabilizzando il fragile equilibrio siriano, in cui il presidente Bashar al-Assad detiene il potere a Damasco ma dipende fortemente dal sostegno iraniano e russo – e quest’ultimo rischia di venir meno. In questo momento, Mosca necessita delle proprie forze armate (in particolare di quelle aeree) sul fronte ucraino, e per questo motivo ha cominciato a smobilitare i contingenti che manteneva in Siria. Il progressivo ricollocamento delle forze russe ha indebolito il regime di Assad e ha incoraggiato la sua opposizione, sia interna che esterna, a perseguire i propri interessi in Siria più liberamente.

Con tutta probabilità è stato questo il caso per un altro incidente che ha avuto luogo sempre il 5 ottobre: a Homs, a nord di Damasco e nel pieno del territorio controllato dalle forze governative, un drone armato ha colpito la cerimonia di diploma di un’accademia militare, causando oltre 100 vittime tra cadetti e familiari. All’evento era presente anche il ministro della Difesa siriano, che però al momento del bombardamento aveva da poco lasciato l’accademia. L’attacco non è stato rivendicato, e il governo lo ha attribuito all’opposizione islamista e secolare che ha la sua roccaforte a Idlib: l’enclave ribelle è stata bombardata il 7 ottobre.

La mano libera di Israele

Chi, di fronte alla contrazione dell’opposizione russa, si sente molto più libero di perseguire i propri obiettivi sul territorio siriano è senza dubbio Israele, determinato a far saltare tutti i ponti che potrebbero aver contribuito ad armare i miliziani di Hamas. Dopo l’offensiva lanciata dai gruppi armati palestinesi, le forze armate israeliane intensificheranno la propria azione contro i gruppi iraniani e filo-iraniani presenti in Siria, accusati di aver sfruttato le vie terrestri del Paese per equipaggiare Hezbollah in Libano e i combattenti palestinesi. Per cominciare, il 12 ottobre dei missili israeliani si sono abbattuti contemporaneamente sui due principali aeroporti internazionali della Siria, Damasco e Aleppo, mettendoli fuori uso. Quegli stessi aeroporti dovevano vedere in questi giorni l’arrivo del ministro degli Esteri iraniano Hossein Amir-Abdollahian, che in un primo momento ha cancellato la tappa siriana del suo tour regionale per mobilitare il sostegno per Hamas. Alla fine, Amir-Abdollahian ha scelto comunque di far visita ad Assad il giorno dopo i bombardamenti per discutere dell’escalation israeliana.

Assad smentito

L’attivismo dei miliziani curdi, l’incidente di Homs e l’attacco israeliano contro gli aeroporti confutano la narrativa vittoriosa con cui il presidente Assad e i suoi alleati esterni affermano di essere riusciti a sconfiggere gli oppositori e a riappacificare il Paese, che invece è in guerra su molteplici fronti, compreso quello domestico dato che per mesi le proteste contro il regime sono cresciute nel sud del Paese. Questa serie di episodi delegittima anche quanto dichiarato da Assad sul ritorno nella Lega Araba: a suo dire, la normalizzazione delle relazioni con molti Paesi arabi avrebbe inaugurato una stagione di sostanziale ricostruzione della Siria della sua economia. In realtà, il suo governo appare indebolito e la veemenza con cui Israele sembra voler vendicare l’attacco subito fa ipotizzare il rilancio di una fase ad alta intensità del conflitto siriano. Al contrario di quanto afferma, Assad potrebbe non essere mai stato così lontano dalla pacificazione del Paese.  

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