Uno degli obiettivi dell’offensiva Primavera di pace lanciata dalla Turchia contro il nord est della Siria è la ricollocazione di due milioni di profughi siriani arrivati nel Paese anatolico dall’inizio della guerra in Siria. A poco più di un mese dall’avvio dell’operazione militare, il presidente Recep Tayyip Erdogan ha mantenuto fede alla parola data: il 21 novembre sono infatti iniziati i primi rimpatri “volontari” oltre il confine siriano.
Secondo quanto si apprende da fonti turche, le autorità competenti hanno portato 200 persone a Jarablus, città siriana che dal 2016 si trova sotto il controllo della Turchia, ma il loro viaggio non è ancora terminato. Le famiglie in questione dovranno essere ricollocate a Tel Abyad (o Gire Spi), altra città recentemente finita in mano turca e la cui popolazione è stata costretta a scappare per paura di rappresaglie.
Due versioni diverse
Due versioni diametralmente opposte stanno circolando da un paio di giorni circa il rimpatrio dei rifugiati siriani. La Turchia ha dichiarato che le famiglie che sono state portate oltre confine stanno facendo finalmente ritorno alle loro case, essendo originarie di Tel Abyad e Serekaniye, entrambe città comprese nella safe zone imposta da Ankara a fine ottobre nel nord est della Siria. Per l’Amministrazione autonoma del Rojava però non c’è nulla di vero nelle dichiarazioni del ministro degli esteri turco. Come riportato dal Rojava Information Center, le famiglie che sono state rimpatriate non sarebbero originarie di Serekaniye e Tel Abyad, bensì proverrebbero da altre zone del Paese quali Homs, Hama, Deir Ezzor e il Goutha. Stiamo parlando di zone a maggioranza araba, dettaglio di non poco conto se si considera che uno degli obiettivi della Turchia è sempre stato quello di allontanare i curdi dal nord est dalla Siria. La loro presenza lungo il confine è sempre stata motivo di preoccupazione per il presidente turco, che ha trovato nel cambio etnico della popolazione locale una strategia per arginare l’influenza curda in Turchia. Per l’amministrazione del Rojava, quindi, nel breve periodo l’obiettivo di Erdogan è trasferire nel nord est della Siria famiglie arabe facilmente controllabili, arginando così la presenza curda lungo il confine. Ma il suo piano avrà dei risvolti importanti anche nel lungo periodo: se le famiglie originarie di Tel Abyad e Serekaniye dovessero un giorno fare ritorno, troverebbero le loro case e i loro terreni occupati dai nuovi abitanti e riavere indietro i propri possedimenti richiederebbe tempi lunghi e procedure burocratiche difficili da seguire.
Nuove Afrin
Un simile scenario era già stato pronosticato da alcune analisi pubblicate dal Rojava Information Center sulla base di quanto già accaduto ad Afrin. La città, conquistata dalla Turchia nel 2018 e sottoposta a un rigido controllo militare anche grazie alla presenza di milizie cooptate da Ankara, ha subito un importante cambio demografico negli ultimi due anni. Mentre nel 2011 il 92 per cento della popolazione era curda, nel 2019 il 75 per cento è formata da turkmeni e arabi provenienti dalla Turchia, da Homs, dal Ghouta e da altre regioni interne della Siria. Il rischio adesso è che la Turchia continui a rimpatriare i rifugiati siriani scegliendoli su base etnica,così da aumentare la percentuale di popolazione araba presente nella zona di confine attualmente sotto il suo controllo e che potrebbe continuare a espandersi a danno dei curdi e delle altre etnie presenti nel Rojava. L’obiettivo ultimo di Erdogan rimane la conquista della fascia di territorio che va da Derek fino a Kobane e il relativo rimpatrio di 2 milioni di siriani che gli elettori turchi – per la maggior parte – non tollerano più. In un sol colpo, il Sultano riuscirebbe a portare a casa una vittoria tanto sul piano interno quanto estero, in vista anche delle prossime elezioni.