Il 14 luglio una bomba è esplosa al passaggio dei veicoli russi e turchi intenti a pattugliare l’area intorno alla M4, l’autostrada siriana che delimita la cosiddetta safe zone stabilita da Turchia e Russia a marzo nel nord-ovest del Paese. Secondo le prime informazioni, nell’esplosione sarebbero rimasti feriti sia sodati turchi che russi e il ministro della Difesa di Mosca aveva immediatamente annunciato la sospensione degli altri pattugliamenti nell’area. Poche ore dopo, secondo quanto riportato da Reuters, è emerso che solo i convogli di Mosca erano stati realmente interessati dall’attacco: ancora una volta, la controparte turca ne è uscita indenne ma l’episodio preoccupa non poco Ankara, soprattutto se si considera che l’esplosione è avvenuta in un’area che le pattuglie turche avevano da poco controllato per evitare che simili episodi potessero verificarsi.

Il controllo su Idlib

Da marzo, Russia e Turchia gestiscono congiuntamente la provincia nord-occidentale di Idlib, definita una de-escalation zone o safe zone dall’accordo per il cessate-il-fuoco raggiunto dalle due parti, entrambe impegnate su fronti diversi nella guerra in Siria. La tregua avrebbe dovuto mettere fine ai combattimenti per il controllo della provincia, attualmente in mano ai jihadisti e che il presidente siriano Bashar al-Assad – supportato dalla Russia – vorrebbe nuovamente sotto il proprio controllo. A gestire l’area, come appena detto, sono le diverse milizie estremiste cooptate per lo più dalla Turchia e radunatesi nella provincia. Inizialmente le diverse fazioni erano riuscite a riunirsi all’interno del gruppo Hayat Tahrir al Sham (o HTS), guidato da Abu Muhammad al-Jolani e con stretti legami con la Turchia. Grazie a questa alleanza, Ankara ha potuto contare su un alleato forte sul terreno e usare così la carta del jihadismo come moneta di scambio in ambito diplomatico. La sua capacità di gestire la galassia estremista racchiusa nei confini di Idlib è però venuta meno negli ultimi mesi. A seguito dell’accordo siglato tra Russia e Turchia, all’interno di HTS si sono registrate importanti defezioni come quella del comandante Abu Malek al-Tali, che ha a sua volta fondato un nuovo gruppo armato per continuare a combattere contro la Russia (e ora anche la Turchia). A sfidare l’egemonia di HTS a Idlib è anche la milizia Hurras al-Deen, molto vicina ad al-Qaeda e finita di recente nel mirino di Ankara e dello stesso Tharir al-Sham. Quest’ultimo infatti ha di recente lanciato una campagna per riprendere il pieno controllo di Idlib, dando così vita a uno scontro tra ex qaedisti e qaedisti, oltre che tra sostenitori (più o meno convinti) dell’accordo tra Turchia e Russia e loro oppositori. A maggio, il gruppo aveva prima di tutto dato vita a un repulisti interno e ripreso i contatti con la Turchia dopo un attacco lanciato da alcuni membri di Hayat contro le truppe russo-turche durante un pattugliamento congiunto lungo la M4 e a cui Ankara aveva risposto con forza. Superato questo momento di tensione, i rapporti tra Turchia e HTS erano tornati alla normalità: Ankara infatti non può permettersi di perdere la provincia, avendo ancora bisogno di sfruttare Idlib per far valere i propri interessi sul tavolo diplomatico.

L’ultimo attacco contro le forze russo-turche lungo la M4 dimostra però tutta la debolezza di HTS e delle politiche turche nella zona di confine siriana: la Turchia non ha più il pieno controllo dell’area e a causa delle sempre più numerose defezioni e HTS fatica a ripristinare la propria egemonia. Una simile instabilità prima di tutto mina la tenuta del potere turco sulla provincia, ma mette soprattutto a repentaglio la già precaria pace raggiunta nell’area tra Turchia e Russia. Il riaccendersi degli scontri quindi è sempre più probabile: da più di un mese infatti si registrano ammassamenti di truppe russe e governative lungo l’autostrada M4, segno che Damasco e Mosca si stanno preparando per la ripresa dei combattimenti.

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