“È necessario che gli Usa si ritirino immediatamente da Manbij. Devono tagliare ogni tipo di legame con i gruppi terroristici”. A parlare è il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu che, nemmeno troppo velatamente, minaccia gli Stati Uniti e svela ciò che era chiaro a tutti: l’esercito di Ankara non si fermerà ad Afrin, ma continuerà la sua avanzata nei territori controllati dai curdi.
A Manbij i combattenti appoggiati da Washington, come riporta Reuters, si stanno già preparando per fronteggiare i turchi.
Gli Usa invece non sanno ancora che fare perché ogni mossa comporta un rischio. Se abbandonano i curdi al loro destino, perdono la faccia; se fronteggiano Erdogan, non solo perdono un alleato ma, di fatto, rischiano di esser cacciati dalla Siria dopo sette anni di guerra per procura. Inoltre, nel caso in cui Washington andasse a muso duro contro Ankara si potrebbe scatenare un conflitto all’interno della Nato. Lo scenario è dunque quello della débâcle. Anche perché al fianco di Erdogan ci sono gli uomini dell’Esercito siriano libero, a lungo foraggiati dall’Occidente, che ora hanno chiarito da che parte stanno: quella della Turchia.
Che fare, quindi? Come abbiamo sottolineato ieri, i curdi di Afrin hanno chiesto aiuto a Bashar al Assad: difendici dai turchi e, in cambio, avrai indietro i tuoi territori (questo è il succo del discorso). Damasco – nonostante le parole di condanna – per ora sta a guardare. Certo è che i curdi hanno ragione quando dicono che l’operazione “Ramoscello d’olivo” “minaccia l’integrità territoriale della Siria” e che quindi, prima o poi, Assad dovrà intervenire. Ma Damasco non fa nulla. Forse perché aspetta il vertice di Sochi che si terrà domani e dopo domani in Russia.
Proprio oggi, alla vigilia del vertice, i curdi hanno annunciato che non saranno presenti: “Abbiamo detto che se la situazione ad Afrin fosse rimasta uguale, non avremmo potuto assistere ai colloqui di Sochi”. Un’occasione persa, certamente.
Perché i curdi ora si trovano a un bivio. O trovano un nuovo alleato (Assad) o rischiano davvero di scomparire. Secondo i numeri forniti dallo Stato maggiore turco, sarebbero almeno 394 le persone uccise (Ankara li definisce “terroristi” per giustificare quella che di fatto è pulizia etnica) dall’inizio dell’operazione “Ramoscello d’ulivo”. I morti continuano a salire e le autorità curde devono capire da che parte stare. Prima che sia troppo tardi.