Da domenica il nord della Siria è teatro di intensi bombardamenti da parte turca. É la risposta da parte di Ankara all’attentato subito nei giorni scorsi a Istanbul, per il quale lo stesso presidente Recep Tayyip Erdogan ha incolpato gruppi curdo-siriani. Ma un’azione turca nei territori controllati dai curdi in Siria era già nell’aria da tempo. L’attacco di Istanbul ha forse solo accelerato i propositi del “sultano”. Nel frattempo le forze Sdf, sigla che riunisce i gruppi curdi in Siria, hanno dichiarato lo stato di allerta: si teme a breve anche un intervento via terra.
L’operazione “Spada ad Artiglio”
Domenica sera primi bagliori hanno illuminato il cielo delle regioni siriane a nord di Aleppo. Con il passare delle ore, i boati delle esplosioni si sono fatti sempre più intensi. Gli abitanti dei villaggi vicini al confine turco hanno così intuito che l’operazione “promessa” da Ankara nei giorni precedenti ha avuto inizio. Il ministro della Difesa turco, Hulusi Akar, l’ha nominata in conferenza stampa “Spada ad Artiglio”.
Per il momento l’operazione è costituita da una massiccia campagna di bombardamenti nelle aree siriane controllate dai curdi. In quei cantoni cioè dove le forze Sdf hanno preso posizione durante la guerra contro l’Isis. Sono interessate dai raid le zone a est di Jarabulus, nella provincia di Aleppo, così come di Ayn Isa nella provincia di Raqqa. Importanti bombardamenti sono stati segnalati anche nella regione attorno Al Hasakah, nel nord est della Siria. I raid non hanno risparmiato nemmeno il cantone di Manbji, una delle città dove il controllo è gestito congiuntamente tra forze Sdf e forze siriane, coadiuvate queste ultime dai russi.
Così come confermato poi dallo stesso ministro Akar, alcuni bombardamenti hanno riguardato il nord dell’Iraq. Ordigni turchi sono stati lanciati infatti nella regione di Sinjar e in quella di Duhok, all’interno quest’ultima della regione autonoma curdo-irachena. La stessa che da giorni sta subendo anche l’attacco da parte iraniana per via del sospetto di Teheran dell’appoggio dato dalle forze curde locali ai manifestanti iraniani.
“Abbiamo neutralizzato – ha dichiarato Akar nella giornata di lunedì – 184 terroristi. Continueremo fino a quando non raggiungeremo i nostri scopi”. Negli attacchi a essere impiegati sono stati anche droni, ma sono soprattutto gli aerei a colpire i più importanti obiettivi curdi nelle aree sotto bersaglio. Dal canto loro, le forze Sdf hanno imposto lo stato di emergenza nelle regioni da loro controllate. Uno dei leader delle milizie curde, lunedì ha dichiarato su Baladi News che i combattenti sono pronti ad affrontare ogni eventualità. Quella più temuta al momento riguarda la possibilità di un’operazione via terra, portata avanti da turchi e gruppi siriani addestrati dai turchi. Come del resto è già accaduto nelle tre precedenti operazioni di Ankara nella regione compiute tra il 2016 e il 2020.
Qual è l’obiettivo di Ankara
La Turchia da anni vede nel rafforzamento delle Sdf nel nord della Siria una minaccia alla propria sicurezza. Il pericolo maggiore, secondo la visione di Ankara, deriva dai forti rapporti con il Pkk, il partito dei lavoratori curdo attivo in Turchia e inserito dalle autorità locali nella lista delle organizzazioni terroristiche. In poche parole, per Erdogan non c’è differenza tra curdi turchi e curdi siriani, entrambe le formazioni costituiscono una minaccia. Tanto è vero che dopo l’attentato di Istanbul, Ankara ha alzato la voce contro gli Stati Uniti, rei invece di appoggiare in funzione anti Isis le forze Sdf.
Per quell’attacco le forze di sicurezza turche hanno puntato il dito contro i curdi siriani. In particolare, sono state arrestate 22 persone, molte delle quali (compresa la presunta attentatrice) provenienti dalla Siria. Da qui l’accelerazione dei piani di attacco già pronti da mesi. Ankara punta alla creazione di una grande fascia cuscinetto lungo i propri confini. Nel 2016, con l’operazione “Scudo nell’Eufrate”, le forze filoturche hanno preso Jarabulus e parte delle aree a nord di Aleppo. Nel 2018, con l’operazione “Ramoscello d’Ulivo”, è stato strappato ai curdi il controllo del cantone di Afrin, sempre a nord di Aleppo. Nel 2020 infine, con l’intervento denominato “Primavera di Pace”, è stata creata una fascia sotto controllo filoturco tra le regioni di Raqqa e Al Hasakah. Mancano, per chiudere il cerchio, le regioni bombardate in questi giorni.
Le possibili conseguenze nei rapporti con la Russia
Quando si interviene in Siria, anche se a essere bersagliati sono territori fuori dal controllo del governo di Damasco, si entra in un Paese sotto forte influenza russa. Mosca è la prima alleata del presidente siriano Bashar Al Assad e ha il controllo di gran parte dello spazio aereo del Paese, oltre che di diverse basi militari. Così come per le altre operazioni, è possibile ipotizzare che da parte russa sia arrivato un ufficioso silenzio assenso alle azioni turche. Del resto, tra Putin ed Erdogan il compromesso da anni appare chiaro: in cambio della rinuncia all’obiettivo di destituire Assad, il Cremlino consente ai turchi di operare contro i curdi.
Tuttavia il rischio di incidenti tra i due Paesi è piuttosto alto. Le forze di Ankara hanno preso di mira anche la regione attorno Manbji dove sono presenti soldati russi. L’esercito siriano dal canto suo, come segnalato su alcuni siti vicini all’opposizione islamista siriana, ha ripreso a bombardare le aree di Idlib ancora fuori dal controllo di Damasco. E qui sono presenti diversi punti di osservazione gestiti dai turchi. Non solo, ma gli stessi russi lunedì hanno bombardato una zona non lontana dal valico di frontiera di Bab Al-Hawa, sempre nella regione di Idlib e a pochi passi dal confine turco.
Considerando le tensioni relative alla guerra in Ucraina, dove la Turchia si è ritagliata un ruolo di mediazione tra Mosca e Kiev, ogni rischio di incidente in Siria potrebbe avere ripercussioni anche ben oltre i confini del Paese arabo. Ed è per questo che l’operazione avviata da Ankara in queste ore si presenta piuttosto delicata.