Amici sì, ma fino a un certo punto. Partner energetici anche, ma guai a mettere sullo stesso piano affari economici e crociate ideologiche, le stesse che potrebbero ledere quegli stessi affari. Uniti contro un nemico comune? Va bene pure questo, ma con divizia di causa e tanto pragmatismo. Stiamo ovviamente parlando del rapporto tra Russia e Cina, tornato alla ribalta a causa della crisi ucraina e delle conseguenti tensioni tra Joe Biden e Vladimir Putin.

Se, come era logico aspettarsi, Pechino ha subito supportato Mosca, a parole e con gesti concreti – per ultimo rilanciando nuovi accordi energetici con il Cremlino in occasione dei Giochi Olimpici Invernali di Beijing 2022 –, è altrettanto vero che Xi Jinping non sembra avere alcuna intenzione di forzare troppo la mano. In altre parole, il governo cinese intende mantenere integro il “legame speciale” costruito con la Russia, ma senza trovarsi costretto a superare pericolose linee rosse. Finché si tratta di richiamare alla calma e lanciare messaggi più o meno duri a Nato, Europa e Stati Uniti, l’alleanza sino-russa ha dimostrato di reggere alla grande. Il discorso potrebbe tuttavia cambiare radicalmente nel caso in cui i venti di guerra dovessero portare a un conflitto bellico tra le parti, con la Russia da una parte e gli Stati Uniti dall’altra, sostenuti dall’Ue per difendere l’Ucraina.

In uno scenario del genere, non sappiamo quanto la Cina abbia interesse, desiderio e voglia di avventurarsi in una spericolata campagna militare oltre i confini del Celeste Impero. Considerando la linea politica estera adottata da Pechino negli ultimi decenni, farcita di continui richiami alla diplomazia e al principio di non ingerenza negli affari interni di altri Paesi, è facile immaginare un Dragone estraneo a ogni tipo di guerra in Ucraina e dintorni.

Pechino e l’enigma Putin

Il segretario stampa del Pentagono, John Kirby, in una conferenza del 14 febbraio ha spiegato che la dichiarazione congiunta firmata Russia e Cina dello scorso 4 febbraio rappresenta la prova più evidente del fatto che Pechino “starà al fianco di Mosca rispetto a quanto sta accadendo in Europa”. Dal canto loro, Xi e Putin hanno accusato attori non meglio specificati di interferire negli affari interi di altri Paesi, si sono opposti a “un ulteriore allargamento della Nato” e hanno sottolineato che le rispettive nazioni possono godere di una forte amicizia che non conosce limiti.

In termini concreti, veniamo alle due intese siglate da Cina e Russia. La prima: il gigante russo Rosneft ha firmato un accordo con la compagnia cinese CNPC per fornire 100 milioni di tonnellate di petrolio attraverso il Kazakhstan da qui ai prossimi dieci anni; la seconda: il colosso russo Gazprom si è impegnato a trasmettere ai cinesi di CNPC 10 miliardi di metri cubi all’anno di gas, prevedendo di aumentare le esportazioni verso la Cina fino ad arrivare a 48 miliardi di metri cubi annui. A cementare l’unione sino-russa ci sono altre convergenze strategiche, che spaziano dall’ambito tecnologico a quello militare. Ma tutto questo, pur importante che sia, rischia di non essere sufficiente per garantire a Mosca il sostegno di Pechino sul campo in caso di un’ipotetica guerra.

La Cina è stata fin qui attenta a non strizzare l’occhio alla possibile invasione dell’Ucraina da parte della Russia, ma è altrettanto vero che la dichiarazione congiunta del 4 febbraio ha rappresentato il più stretto allineamento di Pechino con Mosca dai tempi della Guerra Fredda. Proprio questo avrebbe messo a disagio il deep state cinese, visto che la mossa di Xi ha, di fatto, apportato un cambiamento piuttosto evidente alla recente politica estera cinese.

I dubbi della Cina

La partnership sino-russa e i freschi accordi energetici firmati dai due Paesi non devono ingannare. In merito alla crisi ucraina, di fronte alle telecamere la Cina ha mantenuto una narrazione lineare e semplice, facendo capire di essersi schierata con la Russia senza indugio. In realtà, come ha riportato il Wall Street Journal, all’interno del Partito Comunista Cinese i massimi leader avrebbero avuto un acceso dibattito per valutare, da un lato, fino a che punto dovrebbe spingersi Pechino per sostenere Putin, e dall’altro come gestire una partnership che molti definiscono un “matrimonio di convenienza” anziché di convinzione. La minaccia di un’invasione russa in Ucraina ha spinto l’alta nomenclatura del PCC a interrogarsi sul da farsi, in particolare su come continuare a supportare Mosca senza però ledere gli interessi della Cina. Le discussioni sarebbero andate avanti per più di una settimana, da quando Putin è rientrato in patria dopo aver incontrato Xi.

Insomma, nonostante la posizione pubblica di Xi, nella pancia del Dragone balenano diversi punti interrogativi. Intanto la Cina deve continuare a mantenere un certo equilibrio tra il sostegno a Putin in Ucraina e il mantenimento dei cinque principi della coesistenza pacifica enunciato dall’allora premier Zhou Enlai dopo la fondazione della Repubblica Popolare Cinese del 1949. Il pilastro di tutto risiede nel non appoggiare l’aggressione o l’intervento di nessun Paese negli affari interni di un Paese terzo. Ecco spiegato il motivo per cui il Dragone non ha riconosciuto l’annessione della Crimea da parte della Russia, né ha sostenuto apertamente Putin quando Mosca ha schierato forze in Kazakhstan per placare i disordini scoppiati nella nazione centrasiatica.

Tra amicizia e interessi

La Cina, inoltre, sa che abbracciando troppo la Russia in merito a questioni di sicurezza europea rischia di far allontanare da sé l’Europa, spingendola ancora di più nell’orbita degli Stati Uniti. Ricordiamo che tra Pechino e Bruxelles ci sono in ballo numerosi nodi ancora da sciogliere, a cominciare dal Comprehensive Agreement on Investment (Cai), un accordo di investimento tra la Repubblica popolare cinese e l’Unione europea per definire una nuova cornice normativa per gli investimenti europei in Cina e viceversa.

Il gigante asiatico, più in generale, intende proteggere i propri interessi economici e di sicurezza nelle regioni che potrebbero essere minacciate o scosse dalle future mosse del Cremlino. L’Ucraina è l’epicentro delle preoccupazioni, visto che Kiev ha aderito alla Belt and Road Initiative (BRI) e che le aziende cinesi hanno investito sul territorio ucraino miliardi e miliardi di dollari nei più svariati progetti.

La Cina ha inoltre costruito vari oleodotti in Asia centrale, dove ha stretto interessanti accordi con vari Paesi ex membri dell’Unione Sovietica. Anche l’Ucraina rientra in questo club, e un ipotetico intervento russo contro Kiev potrebbe rappresentare un precedente per i prossimi ed eventuali interventi del Cremlino in altri vecchi Paesi dell’Unione Sovietica. Dulcis in fundo, aiutare troppo la Russia nei suoi interventi nello spazio post-sovietico andrebbe a vanificare gli sforzi perseguiti dalla Cina per sostituirsi a Mosca in quella stessa regione.

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