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La Transnistria è profondamente attenzionata in questa fase molto delicata del conflitto ucraino in cui le forze russe puntano con decisione su Odessa dopo aver espugnato Kherson, sperando di poter consolidare la presa sul Mar Nero e di escludere Kiev dall’accesso al mare.

La Repubblica secessionista nella Moldavia nord-orientale mantiene al suo interno una presenza strategica di truppe russe. “Sulla carta”, nota StartMag, “la Transnistria sembra un luogo perfetto per le forze del presidente Vladimir Putin”. La regione, oltre ad ospitare una guarnigione di truppe filo-russe, “immagazzina” nel solo deposito di Cobasna 22.000 tonnellate di armi, “molte delle quali sono state nascosti dall’esercito russo all’inizio degli Anni Novanta quando si è ritirato dalla Moldavia”, rendendolo di conseguenza uno dei depositi più grandi nel Vecchio Continente.

Il confine tra Transnistria e Ucraina misura ben 400 chilometri di lunghezza. La Transnistria, non riconosciuta da nessuna potenza de jure, gode del sostegno russo nelle sue rivendicazioni di autonomia da Chisnau. Il conflitto nell’ex repubblica sovietica è congelata dopo i combattimenti degli Anni Novanta che causarono circa 4mila vittime. Nella Repubblica Moldava di Pridnestrovie (la denominazione formale della Transnistria) le forze dell’esercito di Putin sono inquadrate nell’Operational Group of Russian Forces (Ogrf), che vanta poco meno di 500 soldati schierati per peacekeeping e circa 700 uomini schierati a guardia dei depositi di munizioni, che stoccano 46mila tonnellate circa di materiale bellico.



Mentre le forze russe premono verso Ovest in direzione di Odessa e nel porto prossimo all’assedio si preparano le difese della piazzaforte in Ucraina cresce l’inquietudine: un attacco partirà anche dalla Transnistria? La Russia è sotto pressione su diversi fronti e, dopo aver mobilitato anche le Repubbliche secessioniste di Donetsk e Lugansk potrebbe anche muovere da Ovest per completare l’accerchiamento di Odessa. I soldati russi in Transnistria potrebbero, in quest’ottica, tornare utili per guidare e inquadrare le truppe di Tiraspol, le cui forze assommano sulla carta a 4.500 uomini che, ricorda Il Caffé Geopoliticopotrebbero essere ampliati fino a 20mila.

Si tratterebbe, dunque, del sesto fronte di avanzata per la Russia dopo quelli su Kiev in movimento da due direttrici, le operazioni a Kharkiv, la manovra a Kherson e quella a Mariupol. E segnerebbe una duplice volontà politico-strategica: da un lato, aprirebbe la strada a un coinvolgimento di Tiraspol nel conflitto capace di cristallizzare la situazione in quadro macroregionale e farebbe capire la volontà di Mosca di mantenere i cuscinetti di separazione tra il suo territorio e gli i Paesi occidentali. Dall’altro, metterebbe la Moldavia nel mirino, destabilizzando automaticamente il contesto a livello di quadrante macroregionale.



Ma il coinvolgimento della Transnistria non è da ritenere una scelta scontata. Vadim Krasnoselsky, presidente della Transnistria, guida uno Stato con una popolazione in “larga parte di etnia ucraina”, nota Il Caffé, ed “ha adottato una posizione piuttosto neutrale nei confronti dell’attuale crisi, ritenendola estremamente delicata”. La guerra è stata definita dal transnistriano di origine ucraina Krasnoselsky come molto “delicata” e “tragica”. Kiev e Tiraspol si sono imposti un embargo commerciale bilaterale dopo che nel 2005 l’Ucraina ha ritirato un piano di sostegno alla Repubblica secessionista. “I media transnistriani parlano di quanti profughi arrivano e di come vengano assistiti dal governo, ma non danno aggiornamenti sullo sviluppo della guerra”, ha detto a Il Post la giornalista Luiza Dorohsenco, operante a Tiraspol. Il conglomerato Sheriff, proprietario della squadra di calcio di Tiraspol che ha giocato la recente Champions League e il cui deus ex machina sarebbe l’ex presidente Igor’ Nikolaevič Smirnov appare come attore distensivo complici i legami, spesso poco chiari, con entrambe le parti del fronte.

Inoltre, come ha ricordato Mirko Mussetti su queste colonne, “la Transnistria non ha né sbocchi sul mare né collegamenti aerei di linea con l’esterno. Qualsiasi azione di intervento repentino, volto a rompere l’isolamento di Tiraspol, richiederebbe forzature militari prive di consistenti preposizionamenti di truppe e mezzi nel piccolo avamposto filorusso“. E questo imporrebbe una scelta di campo che, dati gli equilibri strategici oggi in atto, come visto significherebbe un salto nel buio eccessivo per Tiraspol.

La Transnistria mira dunque a essere l’equivalente odierna della Bielorussia del 2015; acquista forniture di gas da Mosca a prezzi agevolati e ottiene sussidi da Mosca in cambio della sua lealtà politica, non rompe con Chisnau e l’Occidente, vuole continuare a commerciare. Se Putin vorrà arrivare alle estreme conseguenze in questo campo, significherà che la pressione sull’avanzata sarà tale da richiedere di buttare nella mischia anche riserve di valore strategico e da spingere Mosca a procedere a un’ulteriore crescita delle tensioni nel quadrante regionale. Allargando il raggio d’azione del conflitto. Tutto questo per poche migliaia di truppe in più nell’assedio a Odessa: siamo certi che Mosca voglia davvero mandare un messaggio così destabilizzante?

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