È di pochi giorni fa la notizia degli scontri avvenuti nella città di Qāmishlī nel nord-est della Siria, tra la polizia curda delle People’s Protection Forces (YPG) e i guerriglieri che appoggiano il regime siriano di Bashir al Assad. Questa zona, appartenente al distretto amministrativo dello Jazira, a sua volta parte del territorio del Rojava, venne liberata dalle forze vicine ad Assad, le quali vi detengono ancora oggi alcuni posti di blocco.Il fronte siriano non è l’unico a “preoccupare” i curdi. Attorno alla metà di aprile, infatti, la Turchia aprì il fuoco attorno alla città di Kobane, nel centro-nord della Siria, nota alle cronache per la resistenza dei Peshmerga (i guerriglieri del Kurdistan iracheno) che ripresero la città all’ISIS il 26 gennaio 2015. Un retaggio storico significativo è proprio quello che i curdi hanno con la Turchia, i cui rapporti si incrinarono sin dai tempi del Trattato di Losanna (1923) che tradì le aspettative per un Kurdistan indipendente dato che l’Occidente negoziò la pace con la Turchia kemalista senza dare alcuna voce al popolo curdo, il quale fondava le proprie speranze su quel principio di autodeterminazione dei popoli che il Trattato di Sèvres aveva invocato appena tre anni prima.Il Kurdistan, che è quindi una Nazione ma non uno Stato indipendente, sembra essere stretto in una morsa che vede protagonisti quegli stati quali la Turchia, l’Iraq, la Siria, l’Iran e l’Armenia che non solo trattano la “questione curda” in maniera differente ma, soprattutto, si inseriscono in una più complessa dinamica rappresentata dalla divisione interna alla minoranza stessa. Sappiamo infatti come in Iraq vi sia la regione federale del Kurdistan iracheno, la quale gode di una certa autonomia politica dal 2003, anno in cui cadde Saddam Hussein. I curdi siriani, che hanno visto riconoscersi una flebile autonomia politica in occasione della guerra civile, non vedono di buon occhio quelli iracheni, provocando così ulteriori frazionamenti interni che indeboliscono eventuali richieste di indipendenza, piuttosto che di maggiore autonomia, per l’intero popolo curdo.Lo scorso 3 maggio, i Peshmerga curdi si sono resi protagonisti di un’operazione atta ad indebolire le postazioni dell’ISIS attorno alla città di Mosul, nel nord dell’Iraq, considerata roccaforte dei terroristi. Nell’operazione di Tel Skuf sarebbero rimasti uccisi oltre 100 jihadisti dell’ISIS e circa 75 guerriglieri curdi, oltre ad un consigliere militare delle forze statunitensi, le quali hanno bombardato l’area a nord di Mosul colpendo diverse postazioni dell’ISIS. Le tensioni attorno a quest’area perdurano ed hanno imposto la decisione di inviare circa 450 militari italiani a protezione della Diga di Mosul dove la Società Trevi, di Cesena, è intenta a compiere lavori di rimessa in sicurezza.Se sul fronte iracheno della lotta all’ISIS i Peshmerga curdi sono considerati una resistenza imprescindibile per la protezione di diverse aree nel nord dell’Iraq, in Turchia, nella stessa giornata in cui si registrò l’operazione di Tel Skuf, le tensioni in Parlamento sfociarono in una vera e propria rissa. Il motivo? Il Partito Democratico del Popolo (HDP), vicino alla minoranza curda, contesta la legge che vorrebbe revocare l’immunità per i parlamentari, voluta dal Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP), il che imporrebbe la necessità di perseguire quelli aventi un presunto sostegno al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK) considerato fuorilegge.È chiara quindi  la presenza di numerose sfaccettature alla questione curda e la diversità con la quale tale minoranza è “trattata” nei diversi territori in cui si trova a vivere come Nazione, ma non come Stato indipendente.





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