La Svezia aumenterà le proprie spese militari del 40% e raddoppierà il numero annuale dei coscritti entro i prossimi cinque anni, ed il motivo è che Stoccolma teme l’aggressività di Mosca.
Il governo svedese è stato proprio estremamente chiaro in merito il mese scorso, quando il ministro della Difesa, Peter Hultqvist, ha affermato che “abbiamo una situazione in cui la Russia è disposta a utilizzare mezzi militari per raggiungere obiettivi politici”, ha detto ai giornalisti “sulla base di ciò, abbiamo una nuova situazione di sicurezza geopolitica da affrontare”.
Hultqvist avvisa che il nuovo piano di spesa prevede un aumento del budget militare di 27,5 miliardi di corone svedesi (3,1 miliardi di dollari) entro il 2025 che si accompagnerà ad un innalzamento del numero del personale militare sino a 90mila uomini (dagli attuali 60mila) attraverso il raddoppio della coscrizione.
La Svezia, infatti, nel 2018 ha ristabilito il servizio militare anche se non a carattere universale: le nuove leve vengono infatti selezionate tra 19 mila unità dopo vari test psicologici e attitudinali sino a raggiungere il numero di 4mila effettivi. Il ritorno della leva obbligatoria, abolita nel 2010, nasce dal “cambiamento nel nostro vicinato…l’attività militare russa è una delle ragioni” come aveva riferito l’allora portavoce del Ministero della Difesa, Marinette Radebo, in occasione della decisione presa dal Governo di Stoccolma avvenuto a marzo del 2017. Il servizio dura 12 mesi con l’obiettivo di formare nuovi professionisti e di ingrossare le fila della riserva, struttura militare di importanza vitale per la Svezia. La riforma è stata specificata meglio dallo stesso Ministro Hultqvist che in quell’occasione disse “se vogliamo unità militari ben addestrate ed efficaci, il sistema di volontari necessita di essere accompagnato dal servizio di leva obbligatorio”.
L’aumentata assertività russa ha quindi spinto la Svezia verso il riarmo: Stoccolma ha infatti già siglato un contratto con gli Stati Uniti per l’acquisizione dei missili da difesa aerea con capacità Abm (Anti Ballistic Missile) Mim-104 Patriot del valore di 1,3 miliardi di dollari nel 2018, proprio dopo averli visti “in azione” l’anno precedente durante un’esercitazione congiunta, Aurora 2017, a cui parteciparono Finlandia, Francia, Danimarca, Norvegia, Lituania, Estonia ed un nutrito contingente di militari statunitensi.
In generale la Svezia prevede di rinnovare tutte le sue Forze Armate: la marina avrà un nuovo sottomarino e le sue corvette saranno aggiornate, mentre è già noto l’impegno svedese nel programma per il caccia di sesta generazione Tempest, a cui partecipa anche l’Italia.
Stoccolma ha quindi cambiato dottrina militare provvedendo ad aggiornare i suoi piani di “neutralità armata” rispetto al recente passato. Già a partire dal settembre del 2016 ha pensato a ristabilire una presenza militare stabile nell’isola di Gotland, posizionata quasi al centro del Mar Baltico davanti alla Lettonia. L’isola era stata completamente “smilitarizzata” nel 2005 con il ritiro delle forze navali, di terra ed aeree che sino ad allora vi stazionavano in quanto considerata strategica dalla Svezia ma non solo: la sua particolare posizione geografica ne fa un obiettivo particolarmente ambito per chi volesse controllare la navigazione nel Mar Baltico e quindi gli accessi al Golfo di Finlandia ed al Golfo di Botnia, quest’ultimo “sorvegliato” anche dall’isola finlandese di Åland. Ma Gotland diventa anche un trampolino di lancio (o fornisce copertura) per un possibile attacco anfibio “alle spalle” verso i Paesi Baltici: l’ex Ministro della Difesa estone, Hain Rebas, ha infatti le idee molto chiare in merito, sottolineando come l’isola sia ritornata prepotentemente al centro degli interessi strategici dei Paesi che si affacciano sul Baltico.
La Svezia quindi sta spostando sempre più il suo asse dalla neutralità armata verso gli Stati Uniti e la Nato proprio a causa dell’incremento dell’attività militare della Russia lungo i suoi confini e per via di alcuni sconfinamenti di sue unità navali: lo scorso 23 settembre due corvette sono penetrate nelle acque territoriali svedesi provocando la dura reazione di Stoccolma. Anche la crescente attività aerea russa ha contribuito a preoccupare il Paese scandinavo tanto da averlo portato verso l’implementazione di Nordefco, un trattato di cooperazione militare sottoscritto coi suoi vicini di casa Norvegia e Finlandia, che prevede tavoli di pianificazione strategica comuni e miglioramento delle capacità di interoperabilità.
Già da qualche anno, infatti, la Svezia ha stretto legami con la Nato: nel 2014 abbandonò lo status di “Paese non allineato” per firmare un accordo di cooperazione militare con l’Alleanza; accordo che prevede la possibilità per la Nato di poter schierare le proprie truppe sul territorio svedese anche in tempo di pace oltre che in caso di crisi internazionale, che rappresenta il vero fattore destabilizzante in ottica russa.
Mosca infatti ha reiterato più volte la propria ferma condanna in caso che Stoccolma entri nell’Alleanza Atlantica: il presidente russo Vladimir Putin ebbe a dire, nel 2017, che “se la Svezia aderirà alla Nato, influenzerà negativamente le nostre relazioni perché significherà che strutture della Nato saranno installate in Svezia, quindi dovremo pensare ai modi migliori per rispondere a questa ulteriore minaccia”. In particolare l’atteggiamento russo verso la Svezia passerebbe da una “fredda amicizia” ad uno “status di nemico”.
A complicare i rapporti tra i due Paesi che condividono il Mar Baltico c’è anche il contesto storico: la Svezia e la Russia hanno un passato caratterizzato da guerre per l’egemonia su quel mare interno che portò Stoccolma a schierarsi, sciaguratamente, con Napoleone durante la sua campagna di conquista europea rivolta verso est. Pertanto, il ruolo della memoria storica svedese gioca un ruolo negli attuali dibattiti sulla Nato, in particolare il trauma della perdita dell’impero del Mar Baltico attraverso le varie guerre con la Russia che hanno visto i confini imperiali gradualmente ridotti verso quelli attuali.
La Svezia, a differenza di altri Paesi dell’Est Europa, è forse l’unica su cui non ha influito granché l’annessione della Crimea e la questione in Donbass per quanto riguarda la percezione della minaccia russa: la preoccupazione di Stoccolma, infatti, è precedente e riguarda proprio l’attività militare russa, soprattutto navale (vedere “incidente” del sottomarino nel 2014), che ha dimostrato la sua maggiore aggressività rispetto a un decennio fa.
In questa situazione di tensione anche i media svedesi stanno avendo la loro parte. La “stampa” tende ad essere filo-Nato ed è in atto una “info war” non tanto per demonizzare la Russia, quanto per guardare all’Alleanza come ad una polizza di assicurazione contro una possibile aggressione. L’adesione alla Nato quindi ricadrebbe in una strategia di sicurezza realistica, basata sul presupposto che la Svezia sia strategica per la Russia, che mirerebbe a prenderne il controllo.
Esistono però voci critiche interne che si sollevano verso questa visione: alcuni analisti svedesi ritengono che proprio l’adesione alla Nato farà annoverare la Svezia tra i possibili obiettivi della Russia, stante il fatto che, attualmente, Mosca non avrebbe alcun interesse verso il Paese e avrebbe tutto l’interesse a che si mantenesse neutrale.
L’opinione pubblica svedese sembra essere molto attenta alle dinamiche di questa questione: mentre nel 2001 il 49% degli intervistati pensava che fosse una cattiva idea entrare nell’Alleanza, nel 2012, la percentuale era scesa al 45%. Nello stesso tempo, il sostegno all’adesione alla Nato è aumentato dal 19% nel 2011 al 29% nel 2013. Dopo l’annessione russa della Crimea nel 2014, circa il 50% degli intervistati svedesi pensava ancora che gli interessi della Svezia sarebbero stati meglio garantiti restando fuori dalla Nato (un aumento di 10 punti dal 2013), ma circa 1/3 era favorevole all’adesione. Come detto le questioni più “vicine” hanno influito molto più rispetto a teatri distanti come quelli ucraini: con la presunta incursione di un sottomarino russo nelle acque dell’arcipelago di Stoccolma nell’ottobre 2014, circa il 40% degli intervistati era diventato favorevole all’adesione all’alleanza facendo segnare il più alto livello di sostegno sino ad allora.
Si sta quindi giocando una Information Warfare in Svezia, forse guidata dallo stesso governo di Stoccolma, ma sicuramente sostenuta anche dagli Stati Uniti e dall’Alleanza Atlantica, per arrivare ad una futura adesione alla Nato. Del resto l’attività russa, come quella occidentale, è aumentata nel Baltico e lungo le altre frontiere dal Grande Nord sino al Mar Nero, e il governo svedese non può far altro che cercare di rafforzarsi militarmente.
Se possiamo considerare come vera l’affermazione che solo una eventuale adesione della Svezia alla Nato la catapulterebbe tra i “nemici” di Mosca, è altrettanto vero che il linguaggio diplomatico russo non è stato, e non è, affatto tranquillizzante: sconfinamenti, voli di pattugliamento, esercitazioni hanno messo in allarme Stoccolma proprio perché si vede chiamata in causa nonostante non faccia parte dell’Alleanza.
Esiste forse un problema di “linguaggio”, ma è ipotizzabile che al Cremlino siano portati a pensare che la Svezia sia già una minaccia per la propria sfera di influenza, potendo, potenzialmente, chiudere gli accessi al Baltico, e pertanto, che entri nella Nato o meno, qualche anno fa si sia deciso di cambiare il proprio atteggiamento nei confronti del Paese scandinavo: una decisione che ha innescato una spirale di eventi che può essere fermata, ormai, solo se Mosca tornerà a non farsi percepire come una minaccia da Stoccolma.