In attesa di capire come si svilupperanno le esercitazioni militari cinesi, e quali conseguenze porteranno con sé, Taiwan non esclude nessuna opzione dal tavolo. Accanto all’ipotesi secondo cui le imponenti manovre attuate dalla Cina nei pressi dell’isola non sarebbero nient’altro che una mera dimostrazione di forza, per giunta fine a sé stessa, c’è sempre l’ombra di una possibile invasione. Dal punto di vista temporale, certo, non è detto che Pechino abbia intenzione di lanciare il suo assalto adesso, potendolo fare in qualsiasi momento, tecnicamente anche “a freddo”.
Bisogna poi considerare un altro scenario, non proprio remoto a giudicare dai fatti avvenuti nelle ultime ore. Un incidente non previsto, una provocazione finita male, un errore umano, sono tutti aspetti che rischiano di innescare la miccia che potrebbe portare allo scoppio di una guerra dagli effetti devastanti. È per queste ragioni che le forze armate taiwanesi sono in stato di allerta, pronte ad ogni evenienza.
Attenzione però, perché Taiwan deve fare i conti con una spada di Damocle non da poco: una grave carenza di piloti capaci di maneggiare aerei militari statunitensi acquistati dal partner a stelle e strisce. Considerando che, qualora dovesse scoppiare una guerra tra Stati Uniti e Cina, uno dei fattori scatenanti potrebbero essere i sempre più frequenti incontri di caccia vicino a Taiwan, va da sé che una mancanza del genere non può passare in secondo piano.
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Il controllo dei cieli
A Taiwan manca sia un numero adeguato di piloti abili e arruolabili, pronti a scendere in campo in un’eventuale guerra a bordo dei jet made in Usa, che il tempo per addestrare il personale. Il problema è che, con l’aumentare delle tensioni, quasi quotidianamente i piloti taiwanesi sono costretti a salire sui propri F-16 per intercettare gli aerei da guerra cinesi che penetrano in territori off limits.
Durante questi incontri ravvicinati, i militari di entrambe le parti devono affidarsi alle loro abilità onde evitare errori – scontri, collisioni e incidenti – che potrebbero portare a una crisi. La probabilità che ciò possa accadere è aumentata sensibilmente visto che, in seguito alla visita di Nancy Pelosi sull’isola, la Cina sta inviando in missione molti più jet, per di più manovrati da piloti esperti.
Lo scorso mercoledì, ad esempio, Pechino ha schierato 22 aerei da guerra, il più alto numero dal 2020 ad oggi, mentre il giorno successivo ha lanciato 11 missili nelle acque vicine a Taiwan. Per Taipei è fondamentale mantenere preventivamente il controllo dei cieli, onde evitare che la Cina possa prendere campo e quindi sferrare un assalto senza precedenti.
La spada di Damocle di Taiwan
Abbiamo spiegato che Taiwan ha scelto di seguire la strategia del porcospino, consistente nell’adottare difese tali da scoraggiare la Cina ad attaccare. Abbiamo anche sottolineato l’importanza del controllo dei cieli. L’isola è protetta da una flotta sufficientemente grande e da moderni jet da combattimento. Peccato che tutto questo collida però con la carenza di piloti.
Secondo quanto riportato da Bloomberg, ai ritmi attuali Taipei avrebbe bisogno di una cinquantina di anni per addestrare abbastanza uomini da poter riempire le cabine di pilotaggio dei suoi aerei. I comandanti militari americani stimano che il presidente cinese Xi Jinping possa ottenere la capacità di agire attraverso lo Stretto di Taiwan in appena cinque anni. Come se non bastasse, le incursioni quotidiane dei suddetti aerei cinesi stanno logorando i piloti di Taiwan e i jet su cui volano.
Al momento Taiwan possiede 323 caccia, mentre altri 66 se ne aggiungeranno entro il 2023-2026. I piloti sono circa 500. Per avere un numero adeguato di piloti, diciamo un rapporto di 1,5 reclute per jet, serviranno l’isola dovrebbe reclutarne più di 100 entro il 2023-2026. Poiché Taiwan dipende dagli acquisti di materiale statunitense, è fondamentale che i suoi soldati ricevano un corretto addestramento. In altre parole, per far funzionare i 66 F-16V della Lockeed Martin sono richieste competenze specifiche. Il tempo stringe.