C’è una sottile linea rossa che collega i conflitti in Libia e in Siria. Due guerre per procura – a bassa intensitĂ  la prima, di impatto devastante la seconda – che rientrano, in una misura o nell’altra, nella grande battaglia intra-sunnita che schiera Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti ed Egitto da una parte, Qatar e Turchia dall’altra. “Credo che ora ci siano dei player molto attivi sia in Siria che in Libia. E credo che ci sia una sorta di interazione reciproca tra i due conflitti che non favorisce la pace in nessuno dei due casi”, ha detto la scorsa settimana un dimissionario e sconsolato inviato delle Nazioni Unite, Ghassan SalamĂ©, dopo il fallimento dei colloqui politici intra libici di Ginevra. In molti hanno puntato il dito contro l’intervento a gamba tesa del presidente turco Recep Tayyip Erdogan a sostegno del Governo di accordo nazionale (Gna) in Libia. Del resto lo stesso “sultano” di Ankara ha ammesso di aver inviato dei mercenari siriani a combattere al fronte in Tripoli. In pochissimi, tuttavia, hanno parlato degli sponsor che sostengono il generale Khalifa Haftar: tra questi c’è anche il governo baathista del presidente della Siria, Bashar al Assad.

Chi sostiene chi in Libia?

Oltre a Egitto ed Emirati, infatti, diversi altri attori appoggiano in seconda battuta (chi in modo più discreto, chi in maniera più diretta) l’offensiva dell’Esercito nazionale libico (Lna) per strappare Tripoli al controllo della Fratellanza musulmana. La Francia, per esempio, è stata colta con le mani nella marmellata a sud di Tripoli, sostenendo nei fatti il tentativo di spallata di Haftar forse in cambio di commesse petrolifere per Total a scapito dell’italiana Eni. La Giordania ha ospitato più volte il generale Haftar in visita ufficiale e ha inviato mezzi a sostegno delle forze della Cirenaica. La Russia ha mandato dei contractor a sostegno delle forze del generale Haftar non solo a Tripoli, ma probabilmente anche a Derna e dunque ben prima dell’offensiva lanciata il 4 aprile del 2019 in Tripolitania. Il Sudan ha fornito carne da macello per entrambi gli schieramenti che finiscono per reclutare combattenti anche tra i detenuti e i migranti. Perfino l’Eritrea avrebbe inviato un contingente di 150 soldati in Libia a sostegno dell’Lna. Questo affollamento di attori stranieri ha finito per creare delle “strane alleanze” ed è in questo ambito che va letta la visita a Damasco di una delegazione del governo “orientale” della Libia.

Nasce l’asse Bengasi-Damasco

Una missione del governo della Cirenaica ha firmato nel fine settimana a Damasco un protocollo d’intesa per la ripresa delle relazioni diplomatiche e per il coordinamento bilaterale nei consessi internazionali. Dopo lo scoppio del conflitto in Siria nel 2011, sottolinea Agenzia Nova, la Libia era stata tra i Paesi che avevano interrotto i rapporti diplomatici con Damasco, nel frattempo esclusa anche dalla Lega araba. La situazione è cambiata in particolare a partire dal dicembre del 2018, quando gli Emirati Arabi Uniti sono stati il primo paese a riaprire l’ambasciata nella capitale siriana, seguiti dal Bahrein: tant’è che si sente sempre piĂą spesso parlare di un ritorno di Damasco nel consesso arabo. Ora il governo “ad interim” della Libia (che nel frattempo ha deciso ufficialmente di trasferire la sua sede dalla cittĂ  di Al Baida a Bengasi) è pronto ad aprire una sua ambasciata nella capitale siriana, una mossa sostenuta dalla Camera dei rappresentanti di Tobruk, il parlamento che appoggia l’Esercito nazionale libico di Haftar e che ha boicottato i negoziati Onu di Ginevra. Non a caso la stessa Camera ha recentemente votato sulla modifica del nome del governo di Bengasi da “governo ad interim” a “governo libico”, in aperta competizione per il potere in Libia con il Gna di Tripoli.

E l’Italia da che parte sta?

L’Italia, da parte sua, spinge da almeno due anni a questa parte per riaprire l’ambasciata a Damasco, ma non vuole “fughe in avanti” in attesa di vedere come si evolverĂ  la situazione e di capire come si muoveranno le Nazioni Unite e l’Unione Europea. Quanto alla Libia, ha suscitato sorpresa a Tripoli (e probabilmente anche ad Ankara) il presunto incontro, denunciato pubblicamente dal ministro dell’Interno del Gna, Fathi Bashaga, e finora non smentito, che i servizi d’intelligence italiani avrebbero organizzato a Roma tra il responsabile per la Libia dei servizi emiratini ed il comandante della milizia Nawasi: una formazione che controlla la base navale di Abu Seta, a Tripoli, dove ha sede il Gna, e dove si trova il comando della missione italiana in Libia. L’Italia sostiene, anche se piuttosto timidamente, il Governo di accordo nazionale appoggiato da Turchia, che dopo aver esteso la propria area d’influenza strategica, inviando navi militari a Sud di Cipro e truppe in Siria, Somalia, Sudan e Libia, rischia adesso vedere le sue ambizioni ridimensionate. L’accusa velata di Bashaga è quella di tradimento e voltafaccia, anche se il governo di Roma da tempo “dialoga” con tutte le parti del conflitto libico e lo dimostrano le recenti visite (a dicembre e febbraio) compiute sia a Tripoli che a Bengasi da parte del ministro degli Esteri, Luigi Di Maio.





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