La crisi economica dovuta dalla pandemia da Coronavirus potrebbe portare a una riduzione delle risorse destinate ai bilanci della difesa dei Paesi maggiormente colpiti, specialmente nell’Unione europea. Il rischio concreto è di allontanarsi dall’obiettivo di spesa del 2% del Pil prefissato dalla Nato, rischiando così di andare a rallentare lo sviluppo di nuove tecnologie e l’adeguamento delle infrastrutture (viarie e ferroviarie) del Vecchio Continente. Migliorare la mobilità militare in Europa è, infatti, tra i principali obiettivi posti sia dalla Nato sia dall’Unione Europea, considerata necessaria al fine di spostare velocemente truppe e rifornimenti in caso di conflitto con la Russia.

La prima “vittima” del Coronavirus in questo senso è stata l’esercitazione Defender Europe-20 che sarebbe servita per simulare il trasferimento di ingenti risorse militari dagli Stati Uniti all’Europa, annullata a causa dell’esplosione della pandemia. Ugualmente anche tutte le altre esercitazioni collegate e quelle messe in programma dalla Nato per l’estate sono state annullate o rimandate a data da destinarsi, creando un “rallentamento” nelle attività addestrative in Europa. A rischiare non ci sono solamente le esercitazioni però, perché sull’onda emotiva della crisi economica i governi potrebbero decidere di ridurre gli impegni militari internazionali e gli stanziamenti alla difesa, così da “risparmiare” soldi pubblici accontentando quella fascia di opinione pubblica che vede nelle spese militari l’origine di tutti i mali socio-economici. Spetterà ai governi reagire “difendendo” dai possibili attacchi il settore inteso non solo per gli aspetti industriali, ma anche per quelli securitari e geopolitici.

I rischi per l’Ue

La pandemia provocherà certamente una grave crisi economica, ma il potenziamento delle capacità militari di tutti i Paesi Europei e partner Nato non potrà subire stop o rallentamenti. Questo perché mentre parte dell’opinione pubblica occidentale -soprattutto europea- si interroga sull’effettiva necessità di incrementare le spese militari, in Russia e in Cina i rispettivi governi continueranno a investire ingenti risorse per aumentare le capacità delle forze armate così da avere un sostegno deciso alle proprie politiche estere. Il Coronavirus difficilmente sconvolgerà l’attuale assetto geopolitico e geoeconomico e, a maggior ragione, non si potranno ridurre gli stanziamenti per la Difesa, anche perché creerebbe rischi a livello di sicurezza nazionale, internazionale e industriale.

Il problema non è solamente degli Stati, ma anche delle organizzazioni internazionali come l’Unione europea. Il bilancio per il 2021-2027 che dovrà essere approvato dal Parlamento europeo nel corso del 2020, infatti, dovrebbe avere un primo ingente stanziamento di fondi a sostegno per l’avvio di nuovi programmi Pesco (Cooperazione strutturata permanente) e per proseguire il finanziamento dell’Edf (Fondo europeo della difesa), ma anche per a sostenere le policy Nato, tra cui la Nato Readiness Initiative che prevede una risposta rapida da parte delle forze armate in Europa in caso di conflitto convenzionale. Il risultato dell’ultima negoziazione prevede una richiesta per le spese di difesa e sicurezza di circa 14,5 miliardi di Euro per i prossimi 7 anni, dei quali circa al Fondo europeo della difesa.

Aumentare la mobilità e difendere le industrie

I restanti dovrebbero essere divisi nei vari programmi di assistenza, di sviluppo e nel sostegno -in parte- delle missioni internazionali. Nella richiesta che dovrebbe giungere al Parlamento europeo solamente una piccola parte sarà rivolta ai lavori di ammodernamento delle infrastrutture allo scopo di aumentare la mobilità delle forze armate sul territorio europeo, con la quota calata dai 6,5 miliardi inizialmente immaginati ai poco più di 2 miliardi di Euro. Una necessità però strategica al pari della ricerca e sviluppo nelle nuove tecnologie, per le quali a fare da guida dovrebbero essere i principali Stati europei da dove transiterebbero la maggior parte di mezzi, soldati e rifornimenti in caso di conflitto con la Russia. Senza un potenziamento delle infrastrutture viarie, ferroviarie e portuali difficilmente potrebbe essere messa in pratica la strategia di risposta rapida della Nato (che prevede il mantenimento in Europa di 30 battaglioni, 30 squadroni aerei e 30 navi da combattimento capaci di intervenire al massimo in 30 giorni), utile anche per disinnescare eventuali crisi causate dall’ammassamento di truppe o di materiali militari lungo i confini di un Paese membro.

Agli esigui fondi che saranno stanziati dall’Unione europea per i prossimi 7 anni, per evitare un indebolimento generale delle capacità delle forze armate è necessario che ne verranno aggiunti molti dai Paesi membri. La crisi economica che seguirà alla pandemia non modificherà radicalmente l’attuale situazione internazionale, ma anzi –come è stato ribadito nell’ultima ministeriale Nato– quelle che erano le minacce fino a 2 mesi fa lo rimarranno anche a pandemia terminata. Ridurre gli stanziamenti per la difesa non allontanerebbe solamente gli Stati dall’obiettivo di spesa del 2% del Pil, ma andrebbe anche a indebolirli esponendo le industrie nazionali anche al rischio sia di non poter continuare nello sviluppo di armamenti di nuova generazione, sia di lasciare, di conseguenza, spazi commerciali ai prodotti militari cinesi.

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