La guerra in Ucraina ha mostrato per la prima volta le capacità delle forze armate russe in un conflitto convenzionale e simmetrico (o semi-simmetrico) su vasta scala.
L’intervento in Georgia nel 2008, sebbene della stessa natura di quello ucraino, è stato di minore entità (e durata), mentre le guerre in Cecenia e l’operazione militare in Siria sono conflitti che possono ascriversi nel novero di quelli di counterinsurgency, se pur coi dovuti distinguo del caso.
Il “modo di fare la guerra” di Mosca non è molto cambiato dai tempi dell’Unione Sovietica: l’esercito russo ha un ruolo centrale in quanto centrale è il dominio terrestre rispetto a quello navale o aereo. L’artiglieria ha ancora un peso preponderante nei piani di battaglia dello Stato maggiore russo, e le forze corazzate/meccanizzate hanno (o per meglio dire dovrebbero avere) la funzione di rullo compressore disgregante le difese avversarie, intrappolate tra “incudine e martello”.
Nel corso dei 130 e più giorni di conflitto abbiamo assistito a un’evoluzione delle operazioni, che ci ha permesso, a grandi linee, di individuare attualmente almeno due fasi, con una terza di prossima possibile apertura. Inizialmente l’attacco, lungo quattro direttrici se consideriamo doppia quella su Kiev, si è configurato come un tentativo doppio di guadagnare profondità lungo tutto il fronte, rappresentato dal confine russo-ucraino, e di effettuare un blitz sulla capitale (partendo dalla Bielorussia), per rovesciare il governo Zelensky. Sappiamo com’è andata. Verso la fine di marzo le forze russe hanno effettuato una ritirata strategica dall’area di Kiev/Chernikiv abbandonando gradualmente anche le posizioni intorno a Kharkiv per riorganizzarsi e concentrarsi nel Donbass.
Apriamo un piccolo inciso: il 29 marzo il ministero della Difesa russo spiegava che i separatisti sostenuti da Mosca controllavano, in quel momento, il 93% della regione ucraina di Luhansk e il 54% della regione di Donetsk. Oggi, quindi dopo più di tre mesi, il 100% di Luhansk e il 58% di Donetsk sono sotto controllo russo. Facendo un po’ di conti è chiara la lentezza dell’avanzata russa. Un’avanzata lenta ma costante, che ha anche sorpreso per alcune tattiche – discutibili – come la decisione di erodere il saliente di Severodonetsk dal suo apice piuttosto che concentrare il massimo sforzo alla base, per tagliarla, ma che potrebbe trovare spiegazione nella volontà di Mosca di consumare le forze dell’esercito ucraino (la “demilitarizzazione”) nella consapevolezza che in una guerra d’attrito la Russia parte in vantaggio perché in possesso di un arsenale molto più grande. Una decisione in pieno stile russo.
L’esercito di Mosca, però, non si è dimostrato quel “rullo compressore” che tutti si aspettavano. Sicuramente c’è stata, da parte occidentale, una sopravvalutazione delle sue reali capacità che sono minate, come abbiamo già avuto modo di dire, da fattori strutturali e contingenti (riforma Serdyukov “abortita”, corruzione, tagli al bilancio).
C’è chi si sta chiedendo se non si sia visto ancora “il meglio” delle possibilità delle forze armate russe impegnate nel conflitto, e ci sentiamo di dover smentire questa visione.
Se per “meglio” intendiamo l’uso estensivo di armamenti di ultima generazione, la Russia non ne dispone in così gran numero da poter essere dei game changer in grado di accelerare la sconfitta dell’Ucraina, né ha dimostrato di volerli utilizzare in modo continuativo, salvo alcune eccezioni, non potendo permettersi di farlo.
Sul campo di battaglia si sono visti – dopo una lunga attesa – i Bmpt-72 “Terminator”, qualche Ugv (Unmanned Ground Vehicle) sminatore, gli Uav (Unmanned Air Vehicle) Orlan e gli Ucav (Unmanned Combat Air Vehicle) Orion, qualche loitering munitions (peraltro già usata in Siria) ed è stato impiegato per la prima volta, saltuariamente, il missile ipersonico Kh-47M2 “Kinzhal”. I cacciabombardieri di ultima generazione Sukhoi Su-57 hanno fatto, a quanto sappiamo, una fugace apparizione in zona di operazioni (quindi sul Donbass per operare nello spazio aereo “sicuro”) e comunque le forze aerospaziali russe (Vks – Vozdushno-Kosmicheskiye Sily) ne hanno in servizio un numero talmente esiguo (si stima quattro o cinque) da non potere avere peso nelle operazioni belliche, che peraltro non avvengono in un ambiente altamente contestato come potrebbe essere lo spazio aereo della Nato.
Non si sono visti nemmeno i “gioielli” della produzione russa di corazzati: gli Mbt (Main Battle Tank) T-14, gli Aifv (Armoured Infantry Fighting Vehicle) T-15 o i Kurganets-25, che da anni vediamo sfilare nelle parate militari sulla Piazza Rossa per la ricorrenza della Giornata della Vittoria, il 9 maggio. La loro assenza dal campo di battaglia è sintomatica della difficoltà della Russia di iniziare la produzione in serie di questi veicoli, molto probabilmente dovuta alle sanzioni internazionali e all’embargo su alcuni prodotti ad alta tecnologia che stringe la Federazione sin dal 2014. Per fare un esempio che vale per tutti, si stima che siano poco meno di un centinaio i T-14 costruiti, e a oggi nessuno è stato visto in combattimento, molto probabilmente anche per evitare che possa finire in mani ucraine (e quindi in quelle statunitensi), come accaduto per altri Mbt.
Del tutto collaterale, perché legato ad altre dinamiche, ma comunque correlato alla possibilità di vedere o meno “il meglio” alla fine del conflitto, è la decisione della Flotta Russa (Vmf – Voenno-Morskoj Flot) di non proseguire nell’acquisizione delle nuove corvette classe project 22160, perché trovate inadatte al combattimento dopo l’esperienza in Ucraina. Questa digressione ci permette però di affermare che, quando disponibili, la Russia ha “gettato nella mischia” i suoi armamenti migliori, infatti non ha esitato a far intervenire in azione le sue ultime creazioni navali come le già citate corvette oppure le fregate della nuova classe Admiral Grigorovich, che, per inciso, ora vengono tenute a debita distanza dai sistemi antinave ucraini (Harpoon e un paio di batterie di Neptun, se davvero attive) che hanno dimostrato la loro pericolosità affondando l’incrociatore Moskva. Questo comunque non impedisce loro di poter continuare a essere preziose nelle operazioni, in quanto i missili da crociera Kalibr di cui sono dotate hanno una gittata di molto superiore (sino a 2500 chilometri) rispetto a quella dei missili antinave di Kiev, permettendo così alle unità navali russe di operare al di fuori del loro raggio d’azione.
Se invece per “meglio” si intende, in senso lato, un maggiore impegno nel conflitto, è possibile che Mosca, nelle prossime settimane e in preparazione di un’eventuale offensiva nel meridione verso Mykolaiv (quindi per cercare di arrivare a Odessa), opti per una più grande mobilitazione delle proprie forze, quindi, solo in questo caso, ci sentiamo di concordare con chi afferma che ancora non abbiamo visto il vero potenziale dell’esercito russo: la forza del numero.