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La Russia prevede di investire 500 milioni di dollari nei prossimi quattro anni nella modernizzazione del porto siriano di Tartus, attualmente in affitto per un periodo di 49 anni. Lo ha detto martedì il vice primo ministro Yuri Borisov, attualmente in visita in Siria, come riportato da Agenzia Nova. “La parte russa intende riattivare il servizio nel vecchio porto e costruire un nuovo scalo commerciale. L’investimento previsto per i quattro anni a venire è stimato intorno ai 500 milioni di dollari” ha detto Borisov, sottolineando come i lavori di modernizzazione e le nuove infrastrutture creeranno complessivamente 3700 posti di lavoro.

La base per l’accesso ai mari caldi di Mosca

La parte nord del porto siriano di Tartus è occupata dalla Russia sin dai tempi dell’Unione Sovietica. Un accordo del 1971 tra Mosca e Damasco ha consentito alle unità navali della Flotta Rossa di avere una base stabile nel Mediterraneo Orientale, nell’ottica strategica della Russia che ha sempre, nella sua storia, cercato un accesso e una presenza nei “mari caldi” essendo tutti i suoi porti confinati nei “mari freddi” (Murmansk, Petropavlovsk) o in specchi d’acqua che implicano il passaggio in choke point controllati da Paesi potenzialmente ostili (Sebastopoli, Novorossiysk, Vladivostok).

La presenza di unità navali sovietiche a Tartus è stata più o meno una costante durante tutto l’arco della Guerra Fredda, se escludiamo una breve crisi con Damasco quando, nel 1977, a seguito dell’intervento siriano in Libano dell’anno precedente fortemente condannato dal Cremlino, le relazioni tra i due Paesi si raffreddarono al punto che venne impedito, per breve tempo, l’accesso russo al porto.

Col termine della contrapposizione in blocchi, la dissoluzione dell’Unione Sovietica e la conseguente crisi del sistema militare russo, anche il porto di Tartus, almeno la parte amministrata da Mosca, ha subito un lento declino: solo uno dei tre moli artificiali galleggianti era rimasto operativo e in grado di accogliere il naviglio della Flotta russa.

La svolta, oltre ad essere attribuibile al cambiamento di postura del Cremlino avvenuto nell’ultimo decennio che intende ridare impulso alla cantieristica navale per aumentare la sua presenza negli oceani, è avvenuta in concomitanza con l’intervento russo nel conflitto siriano.

Il 18 gennaio del 2017 Mosca e Damasco hanno siglato un nuovo accordo per l’espansione e la modernizzazione della parte russa del porto di Tartus contestualmente al rinnovo del contratto di locazione per 49 anni, che sarà automaticamente rinnovato ogni 25 anni a meno che una delle due parti non notifichi, con un anno di preavviso, la volontà di rescinderlo attraverso canali diplomatici e in forma scritta. Secondo l’accordo la Russia ha a tutti gli effetti autorità legale sulle strutture del porto che le competono e le può utilizzare senza oneri economici. Uno dei compensi, insieme all’utilizzo permanente della base aerea di Hmeimim e alla possibilità di costruirne una nuova nel nord-est del Paese, a Qamishli, per le enormi spese sostenute da Mosca durante il conflitto in Siria.

Quest’ultimo accordo permette alla Russia di modernizzare il sito in modo che possa arrivare a ospitare sino ad 11 vascelli alla volta, inclusi quelli a propulsione atomica di più grande dislocamento come i sottomarini o gli incrociatori classe Kirov. Sino ad oggi, infatti, la parte russa del porto di Tartus è in grado di accogliere solo un paio di unità navali di media grandezza alla volta.

Un investimento infrastrutturale non solo militare

Questo ultimo investimento, che come abbiamo detto vedrà la spesa di 500 milioni di dollari, però non è solamente di tipo militare e non riguarderà esclusivamente il settore russo del porto di Tartus.

A Tartus verrà infatti costruito un hub per le granaglie (nella fattispecie per il grano russo), per cercare di espandere la presenza russa commerciale sui mercati del Medio Oriente. Parallelamente alla costruzione di nuove infrastrutture portuali, infatti, Mosca ha in progetto di ripristinare alcune sezioni della ferrovia che attraversano la Siria e l’Iraq e di costruirne di nuove al fine di creare un corridoio di trasporto dal Mar Mediterraneo al Golfo Persico, e quindi aumentare il flusso di traffico di merci attraverso il porto siriano, che sarà saldamente sotto controllo russo.

Il piano di Mosca non riguarda solo Tartus e si configura come un piccolo “Piano Marshall” sia nelle modalità sia nelle intenzioni strategiche: la Russia ha infatti investito 200 milioni di dollari per ripristinare ed espandere l’industria dei fertilizzanti siriana, che ha il suo centro nel distretto di Homs, oltre ad aver elargito altri 17 milioni di dollari, quest’anno, direttamente al governo di Damasco e consegnato 100mila tonnellate di grano russo nel quadro degli aiuti umanitari.

Oltre alla presenza militare in Siria, che col pretesto della guerra è andata consolidandosi in modo permanente come abbiamo visto, la Russia intende fare della Siria il suo (piccolo) grimaldello per cercare di intaccare l’egemonia economica statunitense, ritagliarsi un “posto al sole” e allo stesso tempo rispondere agli enormi investimenti cinesi che stanno creando o acquistando pezzi importanti di infrastrutture in Medio Oriente, Nord Africa ed Europa nel quadro della Nuova Via della Seta (One Belt One Road).

Del resto il Levante, ovvero quella parte di Medio Oriente che va dal Sinai alla Turchia, con particolare riferimento a quello siriano, è ben lungi dall’essere sviluppato secondo le sue potenzialità in termini di risorse e posizione strategica, e Mosca sta cercando, proprio grazie all’intervento militare in Siria, di porsi come punto di riferimento per il suo futuro sviluppo: l’asse ovest-est che collega Tartus al Golfo Persico passando per l’Iraq diventa molto appetibile in questo periodo storico proprio per la nuova centralità del Mediterraneo e per le congiunture politiche che sono in atto a Baghdad, che attualmente è molto più vicina, spiritualmente ed economicamente, all’Iran rispetto a quanto avveniva durante il regime di Saddam Hussein.





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