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La Russia ha interrotto il suo programma di sviluppo di nuovi armamenti per il quale negli ultimi 10 anni sono stati stanziati più di 20 trilioni di rubli dal bilancio federale.

All’inizio di novembre il presidente Vladimir Putin ha dato ordine di “adeguare gli standard per la fornitura delle Forze armate della Federazione Russa” tenendo conto “dell’intensità di uso e usura dei beni materiali” nel corso del conflitto in Ucraina e quindi portare l’approvvigionamento di armamenti “in linea con le reali esigenze” delle forze armate. La direttiva è stata impartita il 10 novembre, con la raccomandazione di renderla esecutiva entro il 14 dello stesso mese, a testimonianza della necessità impellente di rivedere le spese di bilancio. Il primo ministro Mikhail Mishustin e il ministro della Difesa Sergei Shoigu sono stati nominati responsabili di questa rivoluzione che, fondamentalmente, sospende a tempo indefinito il programma statale per gli armamenti, ovvero il piano generale di modernizzazione delle forze armate russe seguito dal complesso militare-industriale.

Una fonte del quotidiano Vedomosti, che risulta essere vicina al Ministero della Difesa e un alto dirigente dell’industria bellica russa hanno commentato questa decisione affermando che si tratta della fine dell’attuale programma statale di acquisizione degli armamenti, che quindi cancella in un colpo solo un finanziamento di circa 22 trilioni di rubli.

Lanciato all’inizio degli anni 2010 e poi ampliato ogni cinque anni, il programma statale per la produzione di armi “consumava” circa due trilioni di rubli all’anno, due terzi del bilancio della difesa. Secondo il piano, entro il 2020 sarebbero dovute entrare in linea nuove tipologie di armamenti come i carri armati T-14 “Armata”, i veicoli corazzati da combattimento per la fanteria T-15, un nuovo bombardiere strategico denominato Pak-Da, 600 aerei e migliaia di elicotteri che avrebbero dovuto ingrossare il numero di armi moderne sino a una quota del 70% del totale dei mezzi delle forze armate russe.

Ma le difficoltà incontrate da Mosca nella campagna ucraina hanno costretto il Cremlino a rivedere i propri piani: l’esercito russo, nel conflitto, appare in evidente difficoltà a causa di un sistema logistico inefficiente, di mezzi che, alcune volte, si sono dimostrati al di sotto delle aspettative (come le corvette della classe 22160) oppure semplicemente perché si tratta di strumenti obsoleti o prodotti in scarso numero.

Dopo la mobilitazione di massa, la Russia è stata costretta a razionalizzare ulteriormente il proprio equipaggiamento bellico per affidarlo alle nuove leve, in quanto la produzione locale sta facendo fatica a riempire i vuoti lasciati dalle perdite nel conflitto, determinatesi dalle ritirate nell’area di Kharkiv e di Kherson.

Alcuni analisti militari specializzati, infatti, hanno calcolato che l’esercito russo ha perso, dall’inizio del conflitto, il 40% del totale dei suoi carri armati, con punte del 58% per quanto riguarda i moderni T-80 (nelle varie versioni). Questi dati sono stati raccolti conteggiando esclusivamente gli Mbt (Main Battle Tank) perduti di cui si ha un qualche tipo di evidenza visiva, quindi, potenzialmente, i numeri sono ancora maggiori.

L’industria locale , dicevamo, sta facendo fatica a colmare i vuoti in quanto gli effetti delle sanzioni si ripercuotono in modo maggiore sulla componente pesante e ad alta tecnologia: per le armi, il Cremlino, ha dovuto rivolgersi all’Iran e alla Corea del Nord, e per le uniformi alla Bielorussia.

Anche gli Stati Uniti sono dello stesso avviso: al momento, il complesso militare-industriale russo non è più in grado di produrre e mantenere “attrezzature critiche per le operazioni in Ucraina”, aveva dichiarato il 14 ottobre il vice segretario al Tesoro Wally Adeyemo, specificando che il settore più colpito è quello dei microchip, come ammesso anche dagli stessi russi qualche settimana fa, quando a settembre gli esperti di Mosca avevano riferito che il piano statale di sostegno all’industria ad alta tecnologia non sarebbe bastato per garantire un’adeguata produzione di microcircuiti.

La priorità per Mosca, ora, è quindi quella di sostenere le operazioni belliche in Ucraina, e non c’è spazio d’azione, per l’industria russa, per proseguire con tutta una serie di programmi che avrebbero dovuto svecchiare le forze armate.

Archiviato quindi il Pak-Da (Perspektivnyi Aviatsionnyi Kompleks Dalney Aviatsyi) il nuovo bombardiere strategico di cui era stato approvato il design finale ad aprile del 2021. Rinviata anche la piattaforma “Armata”, da cui si sarebbe dovuto sviluppare il nuovo Mbt denominato T-14, che sembra infatti essere stato prodotto in una manciata di esemplari che si sono visti esclusivamente durante le parate nella Piazza Rossa in occasione del 9 maggio, giorno della Vittoria. Del resto le difficoltà, per quanto riguarda questo mezzo, si erano rese evidenti da tempo: già nel 2018 Mosca aveva riferito che avrebbe acquistato solo cento T-14 dei 2400 previsti. Del resto, delle prove che il nuovo carro avrebbe dovuto effettuare quest’anno, in previsione dell’arrivo dei primi 40 esemplari nelle fila dell’esercito russo nel 2023, non c’è stata neanche l’ombra.

Sappiamo infatti che oltre 20 imprese militari russe sono state costrette a sospendere le loro attività in tutto o in parte a causa della carenza di parti e componenti, nonché dell’aumento dei prezzi a causa delle sanzioni. Tali società includono la Vimpel, che produce missili per aerei, e l’unica azienda russa che produce carri armati, la Uralvagonzavod, che sta affrontando l’aumento dei tassi di interesse sui prestiti e l’aumento dei prezzi su materiali e componenti (incluso l’acciaio corazzato), come riferiva già ad aprile l’Isw, l’Institute for the Study of War.

Non si tratta degli unici segnali che ci arrivano da Mosca: sul campo di battaglia abbiamo visto utilizzare i vecchi T-62, tirati fuori dai depositi dell’era sovietica, i missili da crociera Kh-22, risalenti agli anni ’60, pezzi di artiglieria trainata che appartenevano all’Urss, nonché l’assenza dei droni di medie/grandi dimensioni.

Il Cremlino quindi ridirige i fondi per le sue nuove armi verso il sostegno alla campagna bellica, e questa sosta nelle operazioni potrebbe dare tempo prezioso all’esercito russo per cercare di riorganizzarsi. D’altro canto le carenze dell’industria russa sono diventate strutturali, e Mosca potrebbe anche pensare di arrivare a un cessate il fuoco. Le sanzioni quindi hanno avuto un effetto non secondario costringendo Mosca a rivedere i suoi piani industriali per la Difesa (effetto fortemente voluto da Washington) e minandone le capacità belliche complessive.