Spiazzando molti, a settembre 2015, Vladimir Putin è entrato “a gamba tesa” nel conflitto siriano, bombardando non solo Isis, ma anche quei gruppi ribelli legati all’islam più radicale. A marzo del 2016, a soli sei mesi dall’inizio delle operazioni militari, il leader russo ha annunciato il ritiro di gran parte degli uomini presenti in Siria. Un colpo da maestro, come l’ha definito Marcello Foa. Un asso da calare al tavolo dei negoziati con gli Usa, anche perché, nonostante la “ritirata”, l’aviazione russa ha continuato a fare il suo dovere, liberando, grazie all’aiuto dell’esercito siriano, anche la città martire di Palmira e strappando a Isis circa il 20% dei territori.Per approfondire: Guarda il reportage “Siria, al fronte con i russi”Mentre i Sukhoi solcavano i cieli siriani, la diplomazia di Mosca ha continuato a lavorare alacremente, riportando sui loro passi sia Recep Tayyip Erdogan che Barack Obama. Putin si ritagliava così un ruolo fondamentale in Medio Oriente.”La Russia torna una superpotenza”. Questa tesi è stata proposta l’11 settembre scorso da l’Independent , non certo un quotidiano filorusso. Secondo il giornale britannico, Mosca è riuscita a “sfruttare” la crisi in Siria per ritagliarsi quel ruolo di superpotenza che aveva perso nel 1991 in seguito al disfacimento dell’Unione Sovietica.Come? Costringendo gli Usa a fare quello che mai avrebbero pensato di fare, ovvero bombardare i terroristi diJabath Fatah al Sham, gli ex qaedisti di Al Nusra insomma. Un fatto non da poco se si considera che più di una volta l’amministrazione americana ha pensato di usare questi terroristi (tanto da volerli “ribattezzare”) per combattere contro Bashar Al Assad.Per approfondire: L’America alleata con Al Qaida contro AssadLa Russia, inoltre, è riuscita a “blindare” il Raìs siriano. Secondo quanto stabilito dalla tregua, infatti, “Washington e Mosca si coordineranno per condurre attacchi contro Isis e il Fronte fatah al Sham. E solo dopo un periodo di stop ai combattimenti si potrà pensare a una transizione politica per trovare una soluzione duratura al conflitto”. Tradotto: prima si pensa a bonificare la Siria dai jihadisti e poi al futuro di Assad. Esattamente il contrario di quello che voleva Washington.Assicurare la pace e la stabilità regionale globale rimane l’obiettivo chiave della comunità internazionale. Crediamo che questo significhi creare uno spazio di sicurezza equa ed indivisibile che non sia tale per pochi, ma per tutti.(Vladimir Putin)Ma non si pensi che tutto questo sia frutto del caso. Basterebbe leggere il discorso che Putin ha fatto alla 70esima assemblea delle Nazioni Unite per rendersene conto. In quell’occasione infatti il leader russo ha invocato una “larga coalizione internazionale contro il terrorismo. Simile alla coalizione contro Hitler, questa potrebbe unire una larga porzione delle forze che sono desiderose di resistere con risolutezza a coloro che, come i Nazisti, seminano malvagità e odio per l’umanità”.In questo senso il leader russo invitava a dimenticare la vecchia contrapposizione nata con la Guerra fredda, per un approccio più pragmatico di fronte ai problemi mediorientali. Una visione che, seppur imposta da Mosca, sembra esser stata accettata (a malincuore?) anche dagli Usa. Ancora una volta è scacco matto per Putin.
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