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In Iraq è scattata l’ora zero, l’offensiva militare per liberare Mosul, roccaforte dello Stato islamico. Liberare la città sarà comunque l’aspetto più facile: la vera sfida sarà trovare una soluzione politica che consentirà agli abitanti sunniti locali di affrontare le loro rivendicazioni legittime con il governo centrale di Baghdad.LEGGI ANCHE: Operazione Mosul: le forze in campoLa più grande battaglia del Paese contro i militanti dello Stato islamico, è iniziata poche ore fa con un intenso fuoco di sbarramento statunitense. In un discorso televisivo, il primo ministro Haider al-Abadi ha promesso che la bandiera irachena presto sventolerà su Mosul, invitando i residenti a collaborare con le forze che avanzano.Mosul è la capitale de facto in Iraq dell’Isis: è anche la città più popolosa sotto il controllo dei terroristi. Stime iniziali parlano di 1,2/1,8 milioni di civili intrappolati in città. La forza assemblata è composta da soldati curdi peshmerga, combattenti tribali sunniti, unità dell’esercito, agenti di polizia e le milizie sciite. La coalizione a guida Usa si concentrerà sul supporto aereo e dalle retrovie con fuoco di sbarramento da diverse posizioni. Il Pentagono ha autorizzato l’impiego di una forza di venti elicotteri pesanti Apache. Decine di ambulanze sono state allineate sui bordi della regione settentrionale irachena del Kurdistan, pronte per trasferire i feriti.Il Qayyarah Airfield West, 40 miglia a sud di Mosul, è stato riconvertito ad hub per tutte le offensive. Tra il 2003 ed il 2010, Key West, questo il nome dato dagli americani all’aeroporto, era il principale scalo della flotta C-5 Galaxy statunitense.Complessivamente, circa 80.000 soldati sono stati mobilitati. Ramadi, città molto più piccola di Mosul, è stata conquistata da 10mila soldati iracheni. La città, circa 250 miglia a nord di Baghdad, è ultima grande roccaforte dello Stato Islamico in Iraq: è diventata il simbolo dell’ascesa del gruppo. Nella Grande Moschea di Mosul, due anni fa, il leader Abu Bakr al-Baghdadi ha annunciato il suo califfato. Da allora, lo Stato islamico ha lentamente perso terreno: prima Tikrit, poi Ramadi ed, infine, Falluja. Operazioni militari effettuate dalle forze irachene, pesantemente supportate dai raid statunitensi. Anche Mosul cadrà, ma sarà una battaglia sanguinosa che durerà mesi.LEGGI ANCHE: Mosul, la resistenza finale dell’IsisUn paio di mesi fa, i servizi segreti occidentali paventarono il possibile impiego di centinaia Ied al cloro per difendere la città. In quest’ultima si trova una gigantesca fabbrica di cloro requisita dai terroristi e le forze irachene ne temono l’impiego. Senza considerare, infine, che il Califfato potrebbe essere in possesso anche di alcune testate di iprite e sarin. La prima linea sul fronte orientale è stata affidata ai peshmerga. Le milizie sciite non faranno parte della forza di liberazione per i timori su possibili abusi settari nella città a maggioranza sunnita. Mosul sarà liberata, ma la tempistica resta ignota. Abadi ha promesso di liberare la città entro la fine dell’anno. Realisticamente bisognerà capire quanto possano rallentare l’avanzata le diverse contromisure edificate dallo Stato islamici negli ultimi mesi. Ogni quartiere dovrà essere liberato, tenendo conto anche delle esigenze dei residenti. La guerriglia urbana non rappresenta mai un compito facile, così come ha nuovamente dimostrato Ramadi. In quest’ultima sono ancora in corso le operazioni di bonifica. C’è poi da capire la percezione dei residenti, poiché il successo e la velocità dell’operazione dipenderà in larga misura anche dallo stato d’animo dei residenti sunniti. La popolazione dovrà essere certa che l’offensiva su Mosul rappresenterà una credibile e migliore alternativa allo status quo: senza tale convincimento, il sostegno alle forze di sicurezza irachene potrebbe venire meno. Falluja ad esempio: nonostante fosse stata circondata da più di un anno, i residenti sunniti non sono insorti contro l’Isis. Sarebbe assurdo, però, sperare che la semplice liberazione della città possa risolvere le divisioni settarie in Iraq, molte delle quali sfruttate dello Stato islamico per catturare e mantenere la città. Le divisioni settarie e le rivendicazioni politiche dovranno essere necessariamente affrontate, pena una semplice evoluzione nella regione, senza alcun tipo di progresso. Tra qualche mese Mosul cadrà, ma non sarà comunque un colpo fatale per lo Stato islamico, considerando che il capitale dell’organizzazione terroristica rimane in Siria. Mosul, però, rappresenta il banco di prova significativo per la futura stabilità del paese.La Siria e la minaccia di domaniFinché non ci sarà una strategia per affrontare il centro di gravità Isis in Siria, il gruppo terroristico rimarrà una minaccia per la sicurezza regionale, anche se venisse ricacciato dall’Iraq. Il nuovo presidente degli Stati Uniti si ritroverà ancora in guerra con lo Stato islamico, probabilmente per buona parte del suo mandato: l’Isis sarà sconfitto territorialmente nel breve termine, ma continuerà a rappresentare una minaccia. Al-Qaeda, invece, potrebbe rappresentare il vero nemico del domani in Siria, profondamente radicato nel paese e capace di compiere attacchi su larga scala. Ritorna alla memoria quella necessaria piattaforma di stabilità politica per tentare di risolvere la crisi siriana. Al-Qaeda ha sempre prosperato in Siria grazie ad una serie di fattori: conflitto costante, instabilità, uccisioni di massa da parte del regime ed una corrente principale non sufficientemente sostenuta. Se si invertissero tali fattori, si potrebbero invalidare le organizzazioni terroristiche come Al-Qaeda. Sconfitta militarmente l’Isis, si dovrebbe procedere, ad esempio, a privilegiare la protezione dei civili, intesa come opportunità di guadagnare una certa credibilità sul terreno delle truppe che hanno sconfitto l’Isis.cristiani_sotto_tiroI limitati interventi militari, andrebbero quindi visti come strumenti per garantire la stabilità del paese, punendo i crimini di guerra. Nello stesso tempo, si garantiranno (punendo i trasgressori) una serie di compromessi e concessioni che in centinaia di anni non sono mai state garantite alla popolazione. Condizioni che potrebbero portare da un lato a scoraggiare le fazioni più aggressive e dall’altro a garantire negoziati significativi. Le vendette settarie in corso stanno facendo il gioco di al-Qaeda. Finire la guerra contro lo Stato islamico per iniziarne un’altra contro al-Qaeda, avrebbe effetti devastanti sull’intera Siria, considerando che potrebbe raggiungere i 20 mila combattenti entro la fine dell’anno. Al-Qaeda ha già annunciato la creazione di emirato islamico nel nord-ovest della Siria. La sua creazione porterà all’inizio di una serie di attacchi contro l’Occidente. Quest’ultimo risponderà e la ciclicità degli eventi riprenderà il suo corso. Ad oggi, una strategia per l’immediato futuro in Siria non esiste e questo lo sa anche al-Qaeda.





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