“Siate pronti e combattete, seppellite ogni nemico che arriva”. Il Comando del teatro orientale dell’Esercito popolare di liberazione cinese, lo stesso che si occupa di coprire le operazioni su Taiwan, ha lanciato un chiaro avvertimento. In risposta all’indiscrezione filtrata dai media taiwanesi di una possibile visita della speaker Usa, Nancy Pelosi, a Taipei, la Cina ha stretto i muscoli, facendo capire di non voler mollare di un millimetro e tracciando una chiara linea rossa. Nel caso in cui gli Stati Uniti dovessero superarla, consentendo a Pelosi di atterrare sull’isola o di transitare nei paraggi, ovvero nella porzione di territorio che la Repubblica Popolare considera cinese, allora è lecito immaginarsi una durissima reazione da parte di Pechino.

I primi segnali non sono affatto incoraggianti. Oltre al citato post, il portavoce del ministero degli Esteri cinese, Zhao Lijian, ha fatto presente che l’esercito cinese non resterà a guardare se la presidente della Camera Usa dovesse recarsi a Taiwan. Il signor Zhao ha inoltre sottolineato che una simile visita porterà a conseguenze molto serie: “Se Pelosi visiterà Taiwan, questa sarà una grave interferenza nella politica interna cinese e porterà a conseguenze molto gravi”.

I media cinesi, intanto, hanno riferito dei nuovi piani decisi dalle autorità, coincidenti con due esercitazioni militari emblematiche. L’Amministrazione per la sicurezza marittima di Qinglan ha spiegato che le suddette esercitazioni si terranno dalla mezzanotte del primo agosto alle 24 del 6 agosto, precisamente al largo dell’isola meridionale di Hainan. Allo stesso tempo, l’Autorità per la sicurezza marittima di Tangshan ha annunciato manovre dalla mezzanotte del primo agosto al prossimo 7 agosto. Calendario alla mano, il ciclo combinato è destinato a coprire l’intero periodo della visita in Asia da parte di Pelosi.



Perdere la faccia

Sull’isola di Taiwan pende una vera e propria bomba a orologeria che potrebbe esplodere da un momento all’altro. Da una parte c’è l’incognita rappresentata dal volo di Nancy Pelosi. Secondo quanto riportato dal Financial Times, non solo la speaker della Camera Usa farà tappa sull’isola; qui, il 3 agosto, incontrerà anche Tsai Ing Wen, presidente di quella che la Cina definisce la “provincia ribelle”. Nel dettaglio, Pelosi dovrebbe atterrare all’aeroporto di Taipei Songhsan alle 22:30 ora locale, alle 16:30 in Italia. Stando ai nuovi dettagli riportati dalla stampa taiwanese, inoltre, la stessa Pelosi soggiornerà al Grand Hyatt Hotel, nel distretto di Xinyi, ma alcune prenotazioni per la delegazione statunitense sono state effettuate anche al Marriott Hotel, nel distretto di Zongshan. Sempre mercoledì mattina, Pelosi dovrebbe anche visitare lo Yuan legislativo, il parlamento di Taiwan.

La notizia della conferma della visita è stata riportata da vari media americani, tra cui la Cnn, e ha notevolmente alzato la tensione. A quanto pare non sono serviti a niente i recenti segnali arrivati a Pelosi da Washington al Pentagono, fino al dipartimento di Stato. Non è servita neanche la lunga telefonata, durata oltre due ore, tra il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, e quello cinese Xi Jinping. La minaccia di “escalation” di cui ha parlato il leader cinese sembrerebbe dunque non avuto effetto su Pelosi, così come l’avvertimento agli Usa di “non scherzare con il fuoco”. Nelle ultime ore sembrava che potessero esserci segnali distensivi, che l’aereo con a bordo la speaker transitasse nei paraggi dell’isola e nient’altro. La situazione si è presto ribaltata, con indiscrezioni sempre più dettagliate di una visita sempre più imminente.

Attenzione però, perché più passano le ore e più sarà difficile bloccare le tensioni. Qualora infatti Pelosi evitasse Taiwan, Pechino esulterebbe convinto di esser riuscito a intimorire Washington con le sue minacce. In un simile scenario, a perdere la faccia di fronte alla comunità internazionale sarebbero gli Stati Uniti. È per questo che una nutrita schiera di repubblicani ha abbracciato in modo aggressivo la narrativa secondo cui se il viaggio non dovesse tenersi significherà che “la Cina comunista avrà vinto”. Dall’altro lato, se le autorità cinesi dovessero semplicemente ignorare un’eventuale visita di Pelosi a Taiwan, a quel punto sarebbe il Partito Comunista Cinese a perdere la faccia, soprattutto dopo i freschi avvertimenti. La pressione politica, insomma, è dalla parte dell’escalation, visto che in America perfino i democratici progressisti sostengono la mossa di Pelosi, mentre gli appelli alladistensione vengono sempre più relegati ai margini.

L’eventuale risposta della Cina

Le acque del Mar Cinese Meridionale sono caldissime. Nikkei Asian Review ha scritto che gli Stati Uniti stanno avvicinando portaerei e aerei a Taiwan a causa della visita di Pelosi. Ricordiamo che la US Navy ha due gruppi di portaerei e altrettanti gruppi di assalto anfibio nella regione, oltre ad altre risorse nelle molteplici basi militari dislocate tra Giappone, Corea, Hawaii e Guam. Più nello specifico, la USS Ronald Reagan è stata avvistata nel Mar Cinese Meridionale, la USS America e la Tripoli si trovano rispettiamente a Sasebo e Okinawa, Giappone, mentre la USS Abraham Linoln e la USS Essex alle Hawaii.

In un contesto del genere è lecito chiedersi in che cosa consisterà l’eventuale risposta della Cina. C’è chi ipotizza uno scenario di conflitto limitato, con Pechino che andrebbe a conquistare le piccole (ma strategiche) isole taiwanesi situate vicino alla costa cinese, come le Isole Matsu, le Wuqiu e le Kinmen. A rischio anche altre isole cosiddette minori, come le Penghu, le Dongsha e Itu Aba; strategicamente rilevanti anche le Senkaku. A quel punto, però, le tensioni andrebbero a coinvolgere anche altri Paesi limitrofi, come le Filippine, il Vietnam e, forse anche il Giappone, tutti Paesi con i quali sono aperte dispute territoriali incrociate. Più difficile ipotizzare un’invasione totale, considerando anche le condizioni climatiche, ideali a ottobre, per niente ad agosto, tra tifoni, correnti e bufere.

In altre parole, la Cina potrebbe imbastire la “fase 1 della riunificazione con Taiwan”, tentando l’assalto alle isole taiwanesi vicino alla costa cinese e nel Mar Cinese Meridionale, per poi terminare l’operazione in un secondo momento, magari in autunno. Certo, un conto è la teoria è un altro è la pratica.

Nel frattempo, infatti, gli Stati Uniti e Taipei avranno reagito. E allora bisognerà capire come e, in base a questo, quanto si estenderà il conflitto. Entreranno nell’ipotetica contesta anche Giappone, Corea del Sud, Filippine, Vietnam e altri Paesi europei? In attesa di ulteriori novità, dalla Cina arriva un segnale preoccupante. “Non dire che non vi avevamo avvertito” è una frase utilizzata dal quotidiano cinese People’s Daily nel 1962, prima che la Cina combattesse la guerra di confine con l’India, e prima della guerra tra Cina e Vietnam del 1979. Adesso questa frase è ritornata in auge e, ha scritto il Global Times, è stata citata spesso durante un forum tenuto da un think tank cinese di alto livello. E pensare che Pechino aveva dimostrato di non avere alcuna fretta nel riannettere ufficialmente Taiwan. L’attuale scenario geopolitico ha scombinato i calcoli di Xi Jinping. Improvvisamente, la guerra non è più un miraggio lontano.