Dopo una certa età i compleanni, si sa, diventano un appuntamento noioso, ripetitivo, persin stucchevole. Tanti auguri a te, candeline e i soliti regalini più o meno graditi, più o meno indovinati. Figuriamoci quando poi il calendario ti presenta il conto dei 70 tondi, tondi. Eppure ogni tanto qualcosa di strano, di bello, di magico succede. E poco importa se il festeggiato fisicamente non c’è più da tanto, troppo tempo. Restano gli amici che non l’hanno mai dimenticato e che continuano a ricordarlo, a festeggiarlo e, persino, a offrirgli un dono.
È il caso di Almerigo Grilz, il primo giornalista italiano caduto, dopo la Seconda guerra mondiale, su un campo di battaglia. Il 19 maggio 1987, filmando uno scontro a Caia, in Mozambico. Da allora riposa lì, sotto un grande albero africano. Pochi allora in Italia se ne accorsero, Grilz, nonostante la sua prodigiosa carriera e i tanti riconoscimenti internazionali, era per molti colleghi nostrani un personaggio ingombrante, scomodo. Sebbene le sue corrispondenze e i suoi reportage dai tanti fronti – dall’Afghanistan alle guerre africane – fossero state riprese dalle principali testate nazionali e internazionali e dalle più importanti catene televisive occidentali (Cbs, Ndr, Antenne 2, Nbc, Rai, giusto per gradire…), per i “garanti dell’informazione” Almerigo rimaneva il missino, “l’uomo nero” di Trieste. L’impresentabile.
Per fortuna ieri come oggi c’erano – e ancora ci sono, eccome… – tanti amici che nei decenni lo hanno cocciutamente ricordato valorizzando il suo lavoro, la sua professionalità, la sua umanità. Tra tutti Gian Micalessin e Fausto Biloslavo – i primi compagni d’avventure all’Albatross Press Agency – e poi tutta la comunità triestina che lo ebbe in gioventù come punto di riferimento, come fratello maggiore. Ed è proprio da questo nucleo di ragazzi invecchiati (ma non domi) che nasce l’idea del regalo: il primo libro postumo di Almerigo, uscito l’11 aprile di quest’anno. Il giorno del suo compleanno.
Grazie allo sforzo di Pietro Comelli, Roberto Rovasco, Fulvio Sluga, Laura Castellani e dell’editore Spazio Inattuale, La marcia dei ribelli – Diari 1986-1987. Storie di popoli dimenticati è diventato un elegante volume di 217 pagine in cui si ritrovano gli appunti di viaggio di Almerigo tra le Filippine, il Mozambico, l’Afghanistan, l’Etiopia e di nuovo, fatalmente, il Mozambico. Il tragico fine corsa.
Scorrendo le pagine il lettore ritroverà, attraverso una scrittura sempre fresca e coinvolgente, il vero Almerigo Grilz, un autentico “travel writer” che osserva e analizza con meticolosità albionica e levità tutta triestina scenari bellici e squarci di vita, crudeltà assurde e gocce di speranza – i tristi “bambini soldato” africani infagottati nelle loro povere divise e gli adolescenti afghani che, ormai indifferenti ai bombardamenti, lanciano aquiloni nel cielo -, tradizioni millenarie e follie novecentesche che, ed Almerigo lo prevedeva, si sarebbero riproposte, con tutto il loro micidiale peso mortifero, nel terzo millennio.
Attraverso la ricostruzione degli appunti – pagine e pagine fissate su grandi agende e impreziosite da disegni e mappe – il lettore, ma soprattutto chi l’ha conosciuto, ritrova gli occhi d’Almerigo, profondi e curiosi, ed entra nel suo modus operandi e pensandi: preparazione, studio, realismo e il giusto disincanto. Per Grilz giornalista, ormai sideralmente distante da riti e schemi tardo ideologici, non vi erano “buoni” e “cattivi” a prescindere ma tante complessità irrisolte da indagare, da capire, da raccontare con onestà. Con quest’approccio Almerigo si è spinto ai confini del mondo per incontrare i comunisti filippini, i guerriglieri africani, i mujaheddin afghani ma anche medici, missionari, diplomatici, spie, poliziotti, orfani e vedove. Tante storie “di popoli dimenticati“, appunto, che s’intrecciano ora in una narrazione talvolta asciutta, poi briosa e a tratti persino autoironica.
Già, Almerigo era un uomo solare che sapeva – ed è una qualità rara – sorridere di stesso anche quando si inerpicava per giorni e giorni sulle montagne afghane, mangiando brodaglie schifose e dormendo in posti luridi. Fatica, piedi gonfi, sporcizia, ratti, fame ma mai paura. Il lavoro prima di tutto. Poi, una volta terminato il reportage, tornava e si concedeva “cene pantagrueliche”, lunghe sedute “in una vera e propria civilizzata vasca da bagno” e un comodo volo verso l’Europa. Una pausa, altro lavoro e nuova partenza.
Almerigo Grilz è morto giovane, troppo giovane. E noi che lo abbiamo conosciuto fatichiamo ad immaginarlo anziano, vecchio, magari, riprendendo Joseph Conrad, con “l’ardore del cuore che ogni anno si fa incerto, si fa freddo, si fa piccolo, si estingue – e si estingue troppo presto, troppo presto – prima della vita stessa”. Il destino ha deciso altrimenti. Oggi lui rivive in questo libro. Eternamente giovane.