Guerra /

L’Ucraina riporta, oggigiorno, il tema della “guerra d’attrito” nell’analisi strategica contemporanea. Dopo decenni di discussioni su dottrine come l’air-land battle fondata sul dominio dei cieli propedeutico all’avanzata delle forze di terra, lo shock and awe d’americana memoria o la controinsorgenza basata sull’uso di reparti leggeri e mobili la più grande guerra dell’Europa dal 1945 a oggi sembra riportare le scienze strategiche indietro d’un secolo. Ai tempi – cioè – della Prima guerra mondiale, precisamente delle difficili manovre sul fronte occidentale.

Paradosso dei paradossi: sul fronte orientale, Ucraina compresa, la Grande Guerra tra gli Imperi centrali, Austria-Ungheria e Germania, da un lato e l’Impero russo dall’altro fu per molto tempo conflitto di manovra, visti gli ampi spazi a disposizione, i ribaltamenti di fronte e, dal 1917 in avanti, il collasso del sistema zarista che aprì a Berlino e Vienna praterie d’avanzata. Una guerra più dinamica e cinetica di quella logorante a Ovest, conclusasi nello stillicidio di uomini e mezzi. Ebbene, lo scenario russo-ucraino sembra apparire come una variante del Carso, della Marna e della Somme ai tempi dei droni e dell’artiglieria missilistica.

Nell’era della Terza guerra mondiale a pezzi la manovra delle forze russe a inizio invasione è stata ostacolata dall’artiglieria mobile, dai lanciarazzi maneggevoli, dalle postazioni fisse e dai trinceramenti ucraini. Le varie controffensive di Kiev invece, dopo un primo successo a settembre 2022, stanno esaurendosi senza grandi risultati sull’onda del trinceramento russo e delle postazioni create in risposta al consolidamento dell’esercito ucraino. “Nelle immagini che ricordano le battaglie di più di un secolo fa, i soldati sono accovacciati in difese di terrapieno, circondati da un terreno bombardato in un paesaggio lunare”, scrive il Washington Post. Al posto di Mons, Verdun, Ypres ora ci sono Severodonetsk, Bakhmut, Zaporizhzhia.

La manovra estiva ucraina era stata presentata, soprattutto dai “falchi” più bellicosi di Kiev, con toni propagandistici altamente distanti dalla realtà sul campo. Si era esaltato il ruolo decisivo delle forze di manovra, dei carri occidentali come i Leopard, della possibilità di un’offensiva-lampo fino al Mar Nero e alla Crimea. “Come è stato ampiamente riportato, la campagna è progredita lentamente, con le nuove divisioni meccanizzate dell’Ucraina, armate dall’Occidente, impantanate da strati di difese russe, tra cui vasti campi minati, barriere di cemento “a denti di drago”, fossati anticarro e linee di filo spinato”, ha scritto il Washington Post. La Russia ha reso l’Ucraina il Paese più minato al mondo, creando il contrappasso più duro per l’imposizione dello stallo da parte della tenace difesa di Kiev a inizio invasione.

L’élite russa guidata da Vladimir Putin ha nel corso dei mesi preso consapevolezza dell’impossibilità di una vittoria decisiva sul campo nel breve periodo contro un nemico fortemente motivato e bene armato e ha accettato una nuova regola d’ingaggio. È passata dalla manovra al logoramento. Bakhmut, fornace che ha inghiottito una quantità esorbitante di uomini e mezzi, con decine di migliaia di morti e feriti e un numero ad oggi incalcolabile di asset distrutti, ne è stata l’emblema. Da un lato ha rappresentato la pietra tombale della pretesa russa di portare in Ucraina l’equivalente delle guerre americane in Medio Oriente, fondate sul dominio totale del terreno, dall’altro ha spinto Kiev a giocare di rimessa. Portando anche la controffensiva su questo fronte, in cui viene ammortizzata la capacità occidentale di sostenere Kiev con invii massicci di armamento e si sviluppa un doppio logoramento. Da un lato, quello degli eserciti sul campo. Dall’altro, la guerra di logoramento tra il sistema industriale russo riconvertito all’economia di guerra, con conseguente calo dei consumi interni, e quelli occidentali.

Il doppio segno di un conflitto che strategicamente non ha più molto da dire e si basa, oramai, sulla tensione al logoramento. Mesi fa Edward Luttwak su Unherd parlava di fallimento del mito, sia russo che occidentale, di vincere le guerre solo con mezzi “post-cinetici”, dal cyber alle sanzioni, prefigurando un lungo conflitto di logoramento. Di recente, l’esperto americano di studi strategici ha confermato la sua tesi in un’ampia analisi in cui sottolineava come un vincolo fosse la lunghezza del fronte trincerato dai russi: mille chilometri, trecento più di quello occidentale della Grande Guerra.

L’attrito consuma energie anche alla Russia, ovviamente, che può alzare l’asticella del contenimento fino a che le risorse interne date dalla capacità di spesa e di sostituzione economica degli investimenti per beni di consumo e infrastrutture civili con la spesa militare lo permetteranno. Ma calo del rublo e delle entrate energetiche creano una situazione di stress anche per Mosca.

Il rischio delle guerre di logoramento è tanto militare quanto politico e si sostanzia nel fatto che, finché i fronti tengono, le potenze in ballo sono incentivate a “tirare la corda” sperando che sia il contendente colui a cui si spezza in mano. La guerra di logoramento senza volontà politica di trovare una via di fuga è deleteria e minacciosa. Ma proprio l’attestazione di uno stallo e dell’impossibilità della prevaricazione militare di una parte sull’altra è ciò che può, prima o poi, sbloccare in una guerra la possibilità di un negoziato. Quello in cui sperano i mediatori più ragionevoli per l’Ucraina, a partire da Matteo Maria Zuppi, inviato speciale di Papa Francesco, è che Russia e Ucraina capiscano quanto prima della necessità di questi passi. Tirare la corda fino alla vittoria di una parte o dell’altra rischia di essere eccessivamente costoso per i due Paesi in lotta e per l’Europa intera. Dunque per il mondo. Alistair Horne, lo storico britannico che meglio di tutti ha studiato lo svolgimento della battaglia di Verdun, ricordava che un contadino che viveva nelle aree teatro del combattimento mezzo secolo prima e si ricordava le devastazioni del 1916 liquidò con una critica amara le velleità dei decisori che col carnaio al confine franco-tedesco pensavano di cercare un trionfo decisivo. “Ils etaient fous, ces gens-la” (“Quella gente era pazza”). Una definizione schietta che vale anche per chiunque voglia, a Bakhmut o non solo, cercare la risoluzione del conflitto con i metodi della Grande Guerra. Inaccettabili per il costo umano, politico e economico che sono destinati a imporre.

Dacci ancora un minuto del tuo tempo!

Se l’articolo che hai appena letto ti è piaciuto, domandati: se non l’avessi letto qui, avrei potuto leggerlo altrove? Se non ci fosse InsideOver, quante guerre dimenticate dai media rimarrebbero tali? Quante riflessioni sul mondo che ti circonda non potresti fare? Lavoriamo tutti i giorni per fornirti reportage e approfondimenti di qualità in maniera totalmente gratuita. Ma il tipo di giornalismo che facciamo è tutt’altro che “a buon mercato”. Se pensi che valga la pena di incoraggiarci e sostenerci, fallo ora.