I bombardamenti alle città ucraine, avvenuti in risposta all’attacco al ponte di Kerch di domenica 9 ottobre, sono da considerarsi non solo un avvertimento all’Ucraina e all’Europa, ma anche a chi, tra i fedeli del Cremlino, ha messo in dubbio la leadership di Putin durante il conflitto.
Nelle ultime settimane, infatti, gli attacchi alla strategia di guerra di Putin si sono fatti più numerosi, provenendo da fonti sempre più vicine al presidente del Cremlino. Secondo quanto riportato dal Washington Post, l’intelligence americana ha scoperto che una persona proveniente dalla cerchia ristretta di Putin lo avrebbe criticato direttamente per la sua gestione del conflitto.
I dissensi interni
Le critiche maggiori non sono spinte da ragioni umanitare, bensì da motivazioni nazionaliste, portate avanti dalla destra del paese, che accusa il governo di utilizzare tattiche troppo “morbide” contro Kiev. Tra questi vi sono anche i falchi di Putin, i suoi uomini più fidati, tra cui il vicepresidente del Consiglio di sicurezza russo Dmitry Medvedev, che la mattina del 10 ottobre, con l’inizio dei bombardamenti, ha esultato dichiarando che si trattasse appena del “primo episodio”.
Nei piani di Mosca la guerra in Ucraina doveva durare poche settimane, ma quasi immediatamente si è dimostrata uno sforzo maggiore del previsto, arrivando nel mese scorso a costringere la Russia ad avviare una mobilitazione parziale, richiamando in servizio 300.000 riservisti, scelti esclusivamente tra uomini che hanno già servito nell’esercito e che presentano esperienza nel combattimento e specializzazioni militari. Ma la Russia ha continuato a perdere terreno a causa dell’aggressiva controffensiva ucraina, fatto che ha messo in dubbio le capacità strategiche di Putin e potrebbe, secondo alcuni analisti, causare una crisi all’intera struttura federale in caso di una disfatta definitiva. Tra le voci più critiche che hanno chiamato le ultime ritirate dall’est dell’Ucraina un disastro, sono emerse quelle dei falchi Ramzan Kadyrov, capo della Cecenia e di Yevgeny Prigozhin, fondatore delle brigate di mercenari Wagner.
La risposta di Putin ai falchi
Dopo la perdita da parte dell’esercito russo della città di Izyum, avvenuta l’11 settembre, Kadyrov si è detto preoccupato delle scelte dell’esercito, dichiarando che “se non verranno adottati dei cambiamenti a livello strategico entro domani, sarò obbligato a parlare con la leadership del ministero della Difesa e la leadership del Paese, così da spiegargli la realtà dei fatti e riportarli con i piedi per terra.” Non è l’unica dichiarazione di questo genere fatta dal leader ceceno, che a inizio ottobre ha chiesto a Putin di introdurre nel conflitto ordigni nucleari a bassa potenza, così da velocizzare la conclusione della guerra in Ucraina.
Anche Prigozhin si è aggiunto a Kadyrov nel criticare le perdite subite dall’esercito russo. Sembrerebbe che entrambi abbiano fatto forti pressione per sollevare Sergei Shoigu dal suo ruolo di ministro della Difesa, perché ritenuto da loro troppo cauto nelle sue strategie. Prigozhin ha ammesso da poco di essere a capo di Wagner, una mossa che potrebbe rivelare il desiderio di rivestire un ruolo più importante all’interno della rete di Putin anche pubblicamente. I bombardamenti che lunedì 10 ottobre hanno fatto risvegliare i cittadini Kiev e di altre città ucraine al suono delle sirene antiaeree, si stanno concentrando principalmente su infrastrutture strategiche e civili e sembrerebbero soddisfare le pressioni dei falchi del Cremlino.
Anche la scelta del capo delle operazioni militari in Ucraina sembrerebbe essere un passo all’interno delle concessioni di Putin: gli attacchi sono avvenuti sotto il comando del “generale armageddon”, Sergey Surovikin. Il generale è noto per aver ordinato di sparare alle folle di dissidenti a Mosca nel 1991 e per il suo coinvolgimento nella guerra in Siria nel 2017, di cui risalta in particolare il bombardamento di Aleppo a fianco delle forze di Bashar Al-Assad. Le strategie spietate di Surovikin saranno sicuramente un modo di Putin per silenziare i dissidenti interni e sottolineare la sua determinazione a vincere la guerra, ma sono anche una chiara minaccia agli occhi di Zelensky e dell’Occidente.