La guerra civile dello Yemen potrebbe essere arrivata a un momento di svolta. Il conflitto è iniziato formalmente nel 2014 quando gli insorti Houthi sostenuti dall’Iran hanno preso il controllo della Sana e del nord-ovest dello Yemen. Una mossa che ha scatenato la reazione della Coalizione degli stati del Golfo guidata dall’Arabia Saudita che hanno avviato una campagna basata sull’isolamento economico e su azioni militari incentrate su raid aerei ai danni degli gli insorti sciiti. Operazioni possibili anche grazie al’iniziale supporto logistico e d’intelligence degli Stati Uniti che aveva interesse a combattere le cellule di Al Qaeda (qui operante sotto la sigla di AQAP, ndr) e dell’IS presenti sul territorio.

In seguito a queste reazioni, il governo rovesciato si è stabilito ad Aden, capitale provvisoria dal settembre 2015, lasciando che i combattimenti di quella che prenderà i tratti di una guerra per procura tra Iran e Arabia Saudita, spalleggiata da più partner, continuassero nel nord-ovest del Paese. Uno scenario che nel tempo ha creato un complesso intreccio di rapporti e divisioni tra le potenze regionali (Emirati Arabi Uniti, Oman, Qatar, Turchia, Israele), gruppi settario-religiosi yemeniti, e grandi Potenze globali come la Cina e la Russia. Ma anche i principali Stati europei non sono stati da meno dato che guardano ai confini del Mediterraneo allargato, così come il Regno Unito, che ha sempre guardato con apprensione e curato la stabilità del Golfo di Aden e del Mar Rosso quali rotte che portano a Suez.

Lo sforzo delle Nazioni Unite per mediare i colloqui di pace tra i ribelli Houthi e il governo esiliato a Aden, riconosciuto a livello internazionale, si sono completamente fermati nell’estate del 2016. Lasciandoci assistere a un intervento di potenze regionali che poteva condurre il conflitto yemenita a una pericolosa escalation con da un lato l’Iran – che in cambio del suo appoggio è riuscito a guadagnare lo strategico accesso al Mar Rosso attraverso il porto di Hodeida – e dall’altro gli Stati del Golfo guidati dall’Arabia Saudita. Accentuando ulteriormente le divisioni tra sunniti e sciiti nella regione.

Il culmine della tensione è stato raggiunto nel 2021, quando i ribelli Houthi – sempre maggiormente armati da Teheran – sferrarono una serie attacchi sul suolo dell’Arabia Saudita, scatenando una risposta militare che inficerà ogni ulteriore tentativo di mediazione. Lasciando lo Yemen in una delle peggiori crisi umanitarie del mondo secondo gli inviati speciali dell’Onu che hanno stimato la morte di almeno 350mila civili negli otto anni di conflitto. Questo mentre cinque milioni di yemeniti, già vittime della crisi economica che ha ridotto ogni potere d’acquisto e accesso ai beni di prima necessità, subivano e tuttora patiscono una grave carestia, esposti al rischio dell’epidemia di colera che avrebbe già riscontrato almeno un milione di casi. Un primo spiraglio è arrivato circa un anno dopo grazie alla mediazione delle Nazioni Unite. Nell’aprile del 2022 è stato raggiunto un cessate il fuoco tra la coalizione guidata dai sauditi e i ribelli Houthi.

I raid degli Houthi contro l'Arabia Saudita (Infrografica di Alberto Bellotto)
I raid degli Houthi contro l’Arabia Saudita (Infrografica di Alberto Bellotto)

Agenti esterni e interessi latenti

Dal 2021 il governo di Washington ha revocato il sostegno alle operazioni militari offensive guidate dall’Arabia Saudita in Yemen, che, secondo i resoconti degli analisti avrebbe acquisito anche armamenti dalla Cina, la quale nutre enormi interessi economici nell’aerea geografica, essendo questa tassello fondamentale della sua nuova Via della Seta marittima. Va ricordato inoltre come la Cina acquisisca un’ingente percentuale del petrolio prodotto ed esportato dallo Yemen.

Sullo sfondo, anche se ormai in terzo piano a causa del conflitto ucraino che ha monopolizzato l’attenzione del Cremlino, che ha ridotto le sue mosse in politica estera allo scacchiere del Nord Africa, non va ovviamente dimenticata la Russia. Potenza tentacolare che ha sempre intessuto rapporti diplomatici con tutte i maggiori attori del Golfo, vantando uno stretto legame con lo Yemen dove venne instaurata la prima repubblica d’ispirazione socialista del Medio Oriente: la Repubblica Democratica Popolare dello Yemen (1967-1990).

Ribelli Houthi nei pressi di Sana’a, Yemen (Foto: EPA/YAHYA ARHAB)

Una nuova possibilità di pace

Dopo otto anni di guerra civile scandita dagli interventi militari esteri, lo Yemen si mostra agli occhi degli osservatori internazionali come una realtà devastata dalle divisioni interne e dalle ingerenze esterne che non hanno mai messo in secondo piano l’importanza della posizione strategica, dopo la comunanza religiosa. L’inaspettato riavvicinamento tra l’Arabia Saudita e l’Iran ha riacceso la speranza nella comunità internazionale che è rimasta senza dubbio sorpresa dall’accantonamento, almeno momentaneo, della profonda rivalità che ha alimentato la guerra fino all’orlo di una pericolosa escalation nella regione.

Secondo le Nazioni Unite, dopo l’ultimo round di negoziati mediati da Pechino che si sono recentemente conclusi proprio a Sana’a, la vecchia capitale conquistata dagli Houthi, lo Yemen è un passo più vicino alla de-escalation che potrebbe condurre ad un “vero progresso” per l’ottenimento di una pace duratura. Tuttavia, ciò che preoccupa gli analisti, è l’assenza di alcune rappresentanti al tavolo nei negoziati: un’assenza che facilità i colloqui di oggi, ma che proprio in virtù di quella che viene definita la complessità yemenita, potrebbe rimandare le tensioni che potrebbero riaccendere il conflitto ad un infausto e insperato domani.