La morte di quattro Berretti verdi americani nel deserto del Niger ha lasciato più domande che risposte. A creare una cortina di fumo c’hanno pensato anche i vertici dell’esercito americano. Dana White, portavoce del Pentagono si è limitata a confermare i decessi, almeno i primi tre morti il 4 ottobre, senza mai formulare la parole «combattimento».

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Stesso atteggiamento anche dal generale a tre stelle Kenneth F. McKenzie Jr, direttore del Joint staff del dipartimento della Difesa che si è limitato a confermare come nel Paese non ci siano situazioni di tensione simili all’Afghanistan o all’Iraq. Ma cosa ci faceva una pattuglia di soldati statunitensi insieme alle forze nigerine a pochi chilometri dal confine con il Mali. Perché, se ufficialmente gli Stati Uniti si trovano nel Paese con lo scopo di addestrare le truppe locali, i soldati americani si muovono con loro lungo il confine? Scavando in profondità si scoprono però diversi dettagli che mostrano come il Niger sia diventato un crocevia importante per Washington. Talmente importante da chiudere due istallazioni militari per spostare il baricentro d’azione dell’AFRICOM, il comando americano per l’Africa, ma soprattutto il SOCAFRICA, la divisione responsabile delle operazioni speciali.

Cosa ci dice l’imboscata 

I soldati americani sono stati sorpresi a Tongo Tongo, un villaggio a una ventina di chilometri dal confine con il Mali. La location, mai confermata dalle forze armate americane, era stata individuata qualche ora dopo l’imboscata come indicato un un breve flash di Rfi. Qualche giorno dopo la conferenza stampa del Pentagono per spiegare l’attentato, una fonte anonima ha raccontato al New York Times che il personale delle forze speciali era impegnato in una missione di ricognizione lungo il confine. Un segno che il coinvolgimento americano nel Paese è tutt’altro che limitato ai campo di addestramento. Un contesto ben evidenziato da Andrew Lebovich dell’ECFR che commentando l’accaduto sul Washington Post ha detto che «l’incidente dimostra come gli Stati Uniti si stiano avvicinando sempre di più a operazioni di combattimento». Ma quanti sono gli americani in Niger? In una lettera inviata a giugno allo speaker della Camera e al presidente del Senato il presidente Trump indicava che nel Paese erano presenti 645 soldati. Ma il numero potrebbe crescere nei prossimi mesi.

Da Obama a Trump: com’è cambiato il contingente

L’ “avventura” americana in Niger è iniziata nel 2013 per ordine dell’ormai ex presidente Barack Obama. Il piano era quello di stanziare un piccolo contingente, il secondo distaccamento del 409th Air Expeditionary Group per gestire un numero imprecisato di droni MQ-9 reaper nella base nigerina 101 presso l’aeroporto internazionale Hamani a Nimey, la capitale del Paese. Contestualmente l’AFRICOM confermava la consegna di qualche velivolo e alcuni automezzi all’esercito locale. La svolta però arriva un anno dopo. Il Congresso ha autorizzato la costruzione di una seconda struttura presso la base 201 accanto all’aeroporto internazionale di Manu Dayak ad Agadez città nel centro del Paese. Un’operazione tutt’altro che economica dato che secondo The Intercep è costata almeno 100 milioni di dollari. Oggi dopo circa tre anni la presenza americana è accertata. Lo squadrone della 724th Expeditionary Air Base ha preso il pieno controllo dell’istallazione che ospita un numero top secret di droni. Tanto che il secondo distaccamento del 409th è stato disattivato con la conseguente chiusura della base etiope di Arba Minch, la stessa che aveva rimpiazzato quella alle Seychelles.

Le operazioni di terra

Quelle delineate finora sono operazioni che riguardano principalmente le attività dell’aviazione. Ma ci sono diversi segnali sparsi nei siti dell’amministrazione americana che mostrano come la rete statunitense sia più diffusa di quanto si pensi. Nel 2015 ad esempio la DLA (Defense Logistics Agency) una delle agenzie che si occupa della logistica per l’esercito ha aperto una gara d’appalto per la fornitura di carburante per l’aeroporto di Zinder, una base locale dove i mezzi americani possono fare scalo. Resta però una domanda, dove sono i soldati, i Berretti verdi che addestrano le truppe e prendono parte ai pattugliamenti? Ha provato a rispondere a questa domanda Joseph Trevithick, un giornalista americano freelance che è entrato in possesso di un interessante bando della DLA. Il documento mostra la richiesta di fornitura di carburante in cinque diverse località del Niger, tra queste, una delle più significative è quella di Ouallam. La cittadina si trova infatti a metà strada tra Niamey e Tongo Tongo dov’è avvenuto l’agguato. È quindi plausibile che in quel villaggio ci sia un contingente americano, probabilmente delle forze speciali. Fonti riservate hanno raccontato dalla Reuters che spesso da diverse basi del Paese escono gruppi di soldati con appoggio americano per effettuare pattugliamenti e arresti lungo il confine, come nel caso del villaggio di Arlit che compare anche nelle carte di Trevithick.

Non bastasse tutto questo c’è un ultimo dato che emerge ed è quello dei bandi per la fornitura di supporto all’esercito, in particolare aerei ed elicotteri. Recentemente l’USTRANSCOM, il comando unificato che si occupa dei mezzi di trasporto delle forze armate, ha firmato un documento per la concessione di una licenza a una società privata, la Berry Aviation, per la fornitura di servizi in Niger, e nei Paesi limitrofi, senza passare da bando e questo perché l’eventuale lungaggine burocratica avrebbe messo a rischio i militari americani.

Come si legge nel documento ufficiale: «Non ci sono ambulanze o servizi medici che possano supportare i militari americani in queste location austere. La necessità di questi servizi di supporto è così critica che un bando regolare avrebbe esposto le vite dei soldati nell’area e in un modo che non è accettabile». A riprova di questo anche un’offerta di lavoro pubblicata dalla Berry Aviation su LinkedIn circa un mese fa per la ricerca di un manager per la direzione dei lavori a Niamey.

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La crescente minaccia dell’islamismo nel Sahel

Il dispiegamento di forze segue una linea ben precisa della politica americana che ha subito un’accelerata dopo la caduta di Gheddafi nel 2014. In particolare per l’aumento del terrorismo nel Sahel dopo l’inizio del conflitto in Mali tra jihadisti e esercito regolare, con conseguente intervento occidentale capitanato dalla Francia, che fra l’altro è stata la prima a correre in soccorso dei militari americani durante l’imboscata. La scelta di spostare maggiori truppe in questa regione deriva da due propositi, il primo è quello di avvicinare i droni all’africa centrale e alla Libia, il secondo è quello di migliore la lotta al terrorismo nello stesso Sahel.

Fina dal 2013 diversi gruppi armati si sono divisi e riformati diverse volte, ma tutti sotto l’ideologia islamista. Nel marzo di quest’anno una porzione di AQIM, ovvero al Qaeda nel Magreb si è unita al gruppo Ansar Dine e alla formazione Al Mourabitoun per creare un’unica formazione denominata Jama’at Nasr al-Islam wal Muslimin (JNIM) o anche gruppo di supporto all’islam e ai musulmani. A fine settembre l’organizzazione ha rivendicato un attentato a Kidal, un centro a circa 300km dal confine con il Niger. L’attacco non è stato casuale dato che ha preso di mira la base del MINUSMA, la missione della Nazioni Unite in Mali.

A una decina di giorni dall’assalto non è ancora chiaro chi sia stato ad aggredire le forze speciali americane. Una delle ipotesi è che possa trattarsi dell’Isis. Come evidenziato da fonti riservate alla Nbc news. Secondo le Reuters gli assalitori sarebbero stati guidati da un certo Dondou Chefou, un luogotenente di un nuovo gruppo operante lungo la frontiera che si chiamerebbe Stato islamico del grande Sahara.

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