Cosa c’entra l’immagine di una tavola rotonda, attorno alla quale sono seduti il re di Giordania assieme ad alcuni sovrani del Golfo Persico, con la crisi idrica che attualmente attanaglia il regno hashemita? Se ne parla poco, ma il medio oriente oltre ai disastri di questi ultimi anni rischia di dover fronteggiare, a breve, un’altra bomba ad orologeria pronta ad esplodere. La Giordania non è affatto al sicuro: problemi economici e sociali attanagliano il paese, colpito anche dalla scure della cura “dimagrante” delle politiche del fondo monetario internazionale. Ma adesso a preoccupare è anche la mancanza d’acqua: la Giordania, terra arida e desertica, è sempre più a secco. Ecco il motivo per il quale a giugno, nella città santa di La Mecca, re Abdallah ha avuto la promessa di donazioni di miliardi di Dollari da parte di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Bahrein. Ma il tutto rischia soltanto di diventare, è il caso di dirlo, una minuscola goccia dispersa nelle aride terre attorno al Giordano. 

Le cause della “sete” in Giordania

Ad evidenziare la grave carenza idrica nel paese hashemita è un recente reportage di Bel Trew, inviata del The Independent ad Amman. La acque del fiume Giordano appaiono sempre più secche, il letto del corso sempre più asciutto, lì dove scorreva acqua sempre più spesso oggi è possibile vedere la sabbia del deserto. Il Giordano è il serbatoio idrico più importante di questa parte del medio oriente: Giordania, territori palestinesi della West Bank ed Israele si riforniscono qui. Non soltanto dunque un luogo storico, dove la tradizione vuole si sia tenuto il battesimo di Gesù Cristo, ma anche una preziosa ed imprescindibile risorsa per i paesi bagnati dal suo corso. Il regno hashemita con a capo Re Abdallah non a caso da questo fiume prende anche il nome. 





Un intenso sfruttamento, dovuto all’aumento della popolazione ed all’industrializzazione soprattutto nel versante israeliano, fanno sì che l’acqua del Giordano venga sempre più utilizzata ed il corso del fiume si impoverisce. Anche le sponde del mar Morto indicano questa inquietante situazione. Il lago più salato del mondo è un bacino depresso, che si rifornisce di acqua grazie alle piogge ed all’apporto del Giordano: dal fiume arriva sempre meno acqua, oggi lì dove esistevano lussuosi resort sulla riva del mar Morto vi sono invece voragini, sabbia e barche oramai ben lontane dal poter essere nuovamente utilizzate. 

La Giordania rischia nei prossimi anni di dover importare importanti quantità di acqua, come del resto fa già il vicino Iraq. Lì a causare la crisi sono le dighe in Turchia che hanno fatto drasticamente diminuire la portata d’acqua nel fiume Tigri, oltre ad una siccità che perdura da mesi. In Giordania il problema è per l’appunto il corso che dona il nome alla nazione e che da secoli è protagonista della storia mediorientale. 

La Giordania pronta a diventare una polveriera

Risparmiata dalla cosiddetta primavera araba del 2011, nonostante condizioni economiche peggiori di paesi vicini caduti poi nella disgrazia di rivolte e guerre, la Giordania non vive mesi tranquilli. La disoccupazione è al 20%, i prezzi dei beni di prima necessità continuano a crescere ed il malcontento dilaga specie dopo i programmi di austerità varati nella primavera di questo 2018. A maggio Amman ed altre città del paese sono sconvolte da un’ondata di proteste senza precedenti, di cui a farne le spese è soltanto il primo ministro Hani Mulki, costretto alle dimissioni. A tutto questo è bene aggiungere sia i problemi di sicurezza, con un rischio terrorismo mai del tutto domo anche da queste parti, che quelli relativi alla presenza di migliaia di rifugiati siriani. Dopo Libano e Turchia, la Giordania è il paese che accoglie più profughi scappati dalla guerra civile siriana a partire dal 2011. La presenza di campi profughi genera ulteriore dispendio di risorse economiche e produce ulteriore malcontento. 

Il problema della carenza di risorse idriche potrebbe poi dare il colpo di grazia ad una situazione già di per sé molto compromessa e difficile. Ecco perchè i paesi del golfo, nel sopra citato vertice di La Mecca di giugno, hanno deciso di donare complessivamente 2.5 miliardi di dollari alla Giordania. Di fatto, donazioni del genere riguardano solitamente paesi in guerra, questo dona a maggior ragione l’idea della situazione in cui versa per adesso Amman. Il regno hashemita, alleato dell’occidente nella regione con un ruolo più che discutibile nella crisi siriana e nell’appoggio dato ad alcuni gruppi fondamentalisti, adesso potrebbe essere il prossimo ad implodere. L’immagine di una Giordania “moderata” propagandata anche grazie agli occhi dell’occidente sui vari look della regina Rania, impatta fortemente con una realtà dove a breve potrebbe mancare anche l’acqua. 

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