Taiwan non è l’Ucraina. La Cina respinge con insistenza ogni paragone tra quanto sta accadendo lungo i confini orientali ucraini e il nodo taiwanese perché, come ha ribadito Pechino, l’isola è sempre stata “parte inalienabile della Cina”. “È una questione legale e storica indiscutibile”, ha spiegato la portavoce del ministero degli Esteri cinese Hua Chunying. Ma perché lanciare un messaggio del genere in un momento così delicato? Le osservazioni del Dragone sono arrivate dopo che Tsai Ing Wen, presidente di Taiwan, ha incaricato le autorità di sicurezza nazionale e le forze armate di intensificare i controlli nello Stretto di Taiwan.

Tsai ha inoltre chiesto loro di incrementare la prontezza al combattimento e vigilare sulle attività militari nell’Indo-Pacifico. Si da il caso che l’Indo-Pacifico sia una delle aree geografiche più calde del pianeta. E che da quelle parti basti una piccola scintilla, magari causata da una scaramuccia di poco conto, per generare un pericoloso effetto domino che potrebbe pure portare a un conflitto armato. Accanto alla questione taiwanese troviamo le molteplici rivendicazioni sui confini marittimi dei Paesi che si affacciano sul Mar Cinese Meridionale, senza dimenticare le rivalità storiche che hanno da sempre caratterizzato questa regione.

Taiwan in allerta

L’allerta è alta ma non c’è ancora nessun allarme rosso in vista. Sembra tuttavia che Taiwan abbia comunque messo le mani avanti. Il provvedimento di Tsai punta infatti a rafforzare la capacità dell’Isola in previsione di un eventuale attacco proveniente dalla Cina. Attacco che, secondo alcuni osservatori, potrebbe approfittare della crisi in Ucraina per annettere Taipei alla “Mainland”. La presidente ha inoltre chiesto alle agenzie governative di fare tutto il possibile per contrastare la disinformazione condotta da forze esterne con l’obiettivo di strumentalizzare la situazione in Europa orientale per innervosire i taiwanesi.

Ricordiamo che, al fine di incrementare la propria capacità di risposta ad un’eventuale offensiva cinese su larga scala, il parlamento taiwanese ha approvato a gennaio un bilancio extra per la difesa da 8,55 miliardi di dollari, incentrato sull’acquisto di missili e navi con cui contrastare l’aggressività militare del gigante asiatico. Certo è che il ministro degli Esteri taiwanese, Joseph Wu, ha dichiarato che Taiwan sta tenendo d’occhio il Dragone. “La Cina potrebbe pensare di usare un’azione militare contro Taiwan in qualsiasi momento, e dobbiamo essere preparati per questo”, ha affermato a ITV News. Il timore è che Pechino possa approfittare dell’attenzione del mondo concentrata sulla crisi ucraina per attaccare l’isola.

Clima di attesa

Lo scorso 23 gennaio, la Cina ha inviato i suoi aerei da guerra nella zona di identificazione della difesa aerea di Taiwan; secondo quanto riportato dalla Nikkei Asian Review, 39 mezzi aerei avanzati tra cui jet da combattimento, bombardieri con capacità nucleare e aerei di sorveglianza e trasporto. In teoria niente di nuovo sotto il sole, visto che, nel periodo compreso tra il 2020 e il 2021, le sortite cinesi sull’isola sono più che raddoppiate toccando, l’anno passato, quota 950 con una media di 2,6 voli al giorno.

A proposito di incursioni, nove velivoli dell’Aeronautica militare cinese hanno recentemente varcato il limite sud-occidentale della Zona d’identificazione della difesa (Adiz) di Taiwan. Lo ha riferito il Ministero della Difesa di Taipei, precisando che la formazione includeva otto caccia J-16 e un aereo da ricognizione Y-8. I sorvoli arrivano proprio mentre si intensificano le speculazioni in merito a un’eventuale azione di forza da parte della Cina nei confronti dell’Isola.

Nel frattempo rimbalzano voci assolutamente non confermate di presunte navi da guerra entrate nelle acque territoriali di Taiwan. Come detto, non ci sono conferme ufficiali, anche se non mancano segnali ambigui che potrebbero anticipare le reali intenzioni di Pechino. L’Ufficio per gli affari di Taiwan del Consiglio di Stato cinese ha parlato di “sforzi congiunti dei connazionali” attraverso lo Stretto di Taiwan per conseguire “la riunificazione nazionale della Cina”. Per il momento, dunque, sul tavolo ci sono soltanto parole o provocazioni. Vedremo se Xi Jinping anticiperà davvero i tempi rispetto a quelli prefissati, spostando la riconquista di Taipei a ben prima del 2030.