Nuovi scontri tornano ad infiammare la Repubblica centrafricana, che è già preda di una profonda crisi umanitaria e sociale. I combattimenti tra il Fronte popolare per la rinascita della Repubblica centrafricana ed il Movimento dei guerriglieri centrafricani liberi per la giustizia hanno provocato nella città di Birao, nei pressi del confine con il Sudan, la morte di ventitré persone ed il ferimento di molte altre. A riferire queste notizie è stata la missione delle Nazioni Unite (Minusca) operante in quei luoghi. L’instabilità e le violenze devastano questa sfortunata nazione da molti anni e si sono acuite dal marzo 2013, quando l’allora Presidente Francois Bozizé, egli stesso un golpista, venne estromesso dal potere in seguito ad un colpo di Stato. A rimuovere Bozizé furono le forze ribelli musulmane del Seleka, che in breve tempo erano riuscite a conquistare la maggior parte del Paese. Questo stato di cose favorì la formazione di milizie cristiane, denominate anti balaka e l’inizio di scontri interetnici e di matrice religiosa in tutto la Repubblica centrafricana. Le pressioni degli altri stati africani della regione costrinsero, nel gennaio 2014, Michel Djotodia, leader di Seleka, a rinunciare alla carica presidenziale ed a recarsi in esilio in Benin. A succedergli fu dapprima un’amministrazione transitoria guidata da Catherine Samba-Panza e dall’inizio del 2016, in seguito all’approvazione popolare di una nuova Costituzione e di elezioni legislative e presidenziali, Faustin-Archange Touadera. I progressi politici, l’invio di una missione dell’Onu sin dal 2014 e la firma di diversi cessate il fuoco tra i gruppi ribelli nel Paese non sono però riusciti a porre fine alla forte crisi umanitaria del Paese che, in parole povere, si sta disgregando.
Una tragedia di cui non si parla
Il numero di cittadini centroafricani che sopravvive nel 2019, grazie ad aiuti umanitari, è di 2.9 milioni di persone. Una cifra considerevole tenuto conto che gli abitanti del Paese sono quattro milioni e mezzo e che i dati del 2018 parlavano di 2.5 milioni di cittadini bisognosi di aiuto. La firma dell’ennesima tregua, nel febbraio del 2019, tra il governo centrale e quattordici gruppi ribelli non sembra aver portato ai risultati sperati. Secondo le Nazioni Unite le fazioni continuano i loro traffici di armi con il vicino Ciad ed a sfruttare impunemente le risorse minerarie dello Stato. La nazione è infatti ricca di oro, diamanti e uranio il cui commercio, però, non ha portato alcun benessere alla popolazione locale. Le aree rurali sono al di fuori del controllo governativo ed esposte agli attacchi, alle razzie e alle violenze degli insorti, che devono confidare nella protezione dei dodicimila caschi blu delle Nazioni Unite operanti in loco. L’insicurezza generalizzata impedisce ai contadini di prendersi cura dei campi, che giacciono spesso abbandonati e questo stato di cose favorisce un circolo vizioso di instabilità-impoverimento-fame e dipendenza dal supporto esterno. Il settore educativo, inoltre, è stato gravemente danneggiato dalla guerra civile che imperversa nel Paese. Molti bambini ed adolescenti hanno perso, perché costretti a fuggire nei boschi o altrove, anni ed anni di scuola e ciò ha generato un grave deficit culturale che ostacolerà la formazione di una classe dirigente e produttiva. I freddi dati statistici, peraltro difficili da misurare in questo contesto, offrono un quadro desolante: nel 2017 il 75 per cento della popolazione viveva sotto la soglia internazionale di povertà, stimata in 1.90 dollari al giorno e nel 2016 l’Indice di Sviluppo Umano della Repubblica Centrafricana era il più basso del mondo. Nonostante questi numeri la tragedia in atto continua ad essere ignorata da larga parte della comunità internazionale.
Il ruolo di Francia e Russia
La Repubblica Centrafricana è stata una colonia francese sino al 1960, l’anno dell’indipendenza. I decenni di controllo diretto da parte di Parigi furono caratterizzati da inefficienze, abbandono e mancato sviluppo per il Paese e ciò ha contribuito ad influenzare negativamente la vita politico-economica della nazione, generando un forte senso di dipendenza verso la ex-madrepatria. La Francia ha così continuato ad esercitare un ruolo predominante a Bangui anche in seguito alla fine del rapporto coloniale appoggiando, di volta in volta, i diversi leader succedutisi al potere. Gli interessi economici di Parigi in Centrafrica, dovuti anche alla presenza di compagnie transalpine dedite allo sfruttamento di risorse minerarie hanno portato al lancio, nel dicembre del 2013, dell’operazione Sangaris. Un contingente militare francese avrebbe infatti dovuto coadiuvare le forze delle Nazioni Unite nella stabilizzazione del Paese, ma l’intera operazione non ha avuto particolare successo. La forte instabilità e le gravi accuse di abusi sessuali commessi da soldati francesi nei confronti della popolazione locale hanno portato allo smantellamento di Sangaris dal 2016. Nel varco lasciato libero da Parigi si è così inserita Mosca, che continua a cercare di ritagliarsi uno spazio nella regione. La Russia ha inviato in Repubblica Centrafricana, sin dal 2018, contractors e rifornimenti di armi all’esecutivo di Bangui ottenendo, in cambio, concessioni minerarie. Gli istruttori militari russi si occupano di addestrare l’esercito nazionale, agendo in maniera concorrenziale nei confronti di una missione dell’Unione Europea che opera con i medesimi scopi. L’influenza di Mosca non si limita al solo ambito economico e militare ma anche a quello della formazione: dal finanziamento di specifici corsi nelle scuole del Paese, all’avvio di programmi di scambio che portino gli studenti centroafricani più meritevoli a studiare in Russia. Il paradosso della crisi umanitaria della Repubblica Centrafricana è quello di aver generato una serie di attenzioni nei confronti del Paese da parte della comunità internazionale, attenzioni, però, non mirate a risolvere i problemi economici della nazione ma a generare nuovi rapporti di dipendenza. Nessuno è in realtà veramente interessato a porre fino al sanguinoso conflitto interno o a sanare i gravi problemi di sviluppo, quanto a cercare di garantirsi nuovi diritti di sfruttamento per le risorse minerarie. Un vero e proprio dramma dell’indifferenza destinato a facilitare nuovi cicli di violenze e povertà ed a generare forte instabilità.