Pace, stabilità, sviluppo economico, difesa dell’integrità territoriale e modernizzazione delle forze armate sono i punti cardine del rapporto China’s National Defense in the New Era, redatto dal ufficio informazioni del Consiglio di Stato della Repubblica Popolare Cinese e reso pubblico dall’agenzia di stampa governativa Xinhua. Una pubblicazione che ha il carattere di un libro bianco dove vengono suggerite le mosse che dovrebbero essere compiute da Pechino nel prossimo futuro, specialmente per le forze armate. L’obiettivo è quello di far sì che l’Esercito popolare di lberazione abbia capacità comprabili alle forze statunitensi e russe entro il 2050, al termine di un processo di rinnovamento che non passa solo attraverso gli equipaggiamenti e gli armamenti ma anche tramite l’ammodernamento delle teorie, delle strutture organizzative e della logistica. Nella pubblicazione viene “chiarito” che nel futuro le forze armate della Cina manterranno il loro ruolo principale di difesa dell’integrità territoriale da ogni tipo di minaccia, senza mai assumere un atteggiamento potenzialmente offensivo nei confronti di Paesi terzi. Un mantra questo per la Cina, presentata come portatrice di pace e prosperità, rispettosa di ogni differenza e divergenza con gli altri attori internazionali.

La “tranquillità” dell’Estremo Oriente

Il termine di paragone per Pechino è la politica estera sempre più unilaterale degli Stati Uniti, accusata di aver favorito l’aumento delle spese militari e delle tensioni. L’unica area del mondo presentata come stabile è quella dell’Asia Pacifica, ovvero dove la presenza cinese è “dominante” e per questo vi è un maggiore impeto alla collaborazione tra Paesi, grazie agli incontri bilaterali tra Cina e l’Associazione dei Paesi del Sud-est asiatico (Asean) e all’Organizzazione per la cooperazione di Shanghai (Ocs, ne fanno parte: Cina, Russia, Kazakistan, Kirghizistan, Tagikistan, Uzbekistan, India e Pakistan). Stando alla pubblicazione le uniche tensioni nell’area del Pacifico e del Sud-est asiatico sarebbero imputabili agli Stati Uniti, a causa dell’incremento della loro presenza militare in Corea del Sud e in Giappone e per l’opposizione alle mire egemoniche di Pechino verso il mar Cinese Meridionale, le isole Senkaku (parte del Giappone, in cinese conosciute come isole Diaoyu) e Taiwan. Per le prime due nel rapporto viene evidenziata la necessità di portare avanti negoziati con i diversi Paesi interessati per arrivare a una soluzione, anche se in realtà le politiche seguite sono quelle della violazione dei diversi spazi aerei e marittimi e della costruzione di installazioni militari per controllare le diverse zone in questione.

La minaccia dei “separatismi”

La “questione taiwanese” è considerata una sfida centrale e cruciale per la Cina, venendo percepita come una minaccia all’integrità territoriale. Pechino, infatti, non si limita a bollare il governo di Taipei e i suoi sostenitori come “separatisti”; anzi dal rapporto emerge la volontà di utilizzare ogni tipo di pressione politica e militare possibile per non intaccare il principio “dell’unica Cina”, non escludendo anche l’uso della forza per preservare l’integrità territoriale e per sconfiggere i “separatisti”. Contemporaneamente la Cina continua a presentarsi verso l’esterno come un Paese senza velleità espansionistiche ed egemoniche, ma che anzi promuove la pace mondiale attraverso gli investimenti per lo sviluppo e la cooperazione tra i diversi Stati. La necessità espressa dalla pubblicazione di rinnovare e modernizzare le forze armate per far fronte alle sfide del futuro non dovrebbe essere vista come un metodo per dotarsi di capacità militari per sostenere politiche egemoniche (al limite di quelle imperialistiche), ma in realtà questa spinta sarebbe principalmente per difendere l’integrità territoriale della Cina da ogni possibile minaccia esterna o interna (come l’indipendentismo tibetano e del Turkestan dell’Est, nella provincia dello Xinjiang), assicurando anche la deterrenza nucleare. Questo è un punto chiave per la Cina della “nuova era”, nonostante che venga sottolineata nella pubblicazione la volontà di Pechino di aumentare il controllo sugli armamenti e di perseguire politiche di non-proliferazione, così da giungere alla denuclearizzazione mondiale. La realtà dei fatti è però diversa, perché anche la Cina sta continuando a sviluppare i nuovi missili balistici a raggio-intermedio (IRBM) DF-26, diventati presumibilmente operativi a settembre 2015. Il Dong-Feng 26 ha delle caratteristiche praticamente uniche poiché avrebbe la possibilità di essere utilizzato come missile antinave, soprattutto in chiave anti-portaerei che potrebbero essere distrutte da distanze di circa 3000-4000 km. Proprio l’aspetto marittimo è quello predominante nelle politiche militari cinesi dal momento che l’obiettivo sarebbe la protezione degli interessi economico-commerciali e dei territori d’oltremare, come ad esempio la base di Gibuti. In realtà nella pubblicazione Consiglio di Stato emerge il desiderio di trasformare la Cina in una superpotenza militare al pari degli Stati Uniti, così da avere un sostegno adeguato alle politiche imperialistiche portate avanti da Xi Jinping negli ultimi anni.

Le riforme militari

Per raggiungere capacità simili ci vorrà del tempo, ma nel rapporto viene tracciata la strada da seguire nei prossimi decenni. Una via che passa attraverso il proseguimento delle riforme già iniziate, le quali dovranno essere implementate così da dare alle forze armate cinesi un’impronta più moderna per renderle maggiormente funzionali ed efficienti. L’idea di Pechino è di far sì che lo sviluppo tecnologico non sia fine a sé stesso, ma dovrebbe seguire una logica interforze per ottimizzare gli equipaggiamenti, gli armamenti, i mezzi, le navi e gli aerei. Non solo però, perché nella recente pubblicazione viene sottolineato il bisogno di sviluppare nuove tattiche e strategie militari, per adeguarle ai mutamenti nel concetto stesso di guerra e alle nuove sfide internazionali. Anche per questo motivo viene evidenziata nuovamente l’importanza di ridurre il numero di soldati per avere una maggiore prontezza operativa. Il problema però rimane la non totale meccanizzazione delle forze armate e le enormi distanze da coprire da un lato all’altro della Cina, dove specialmente nelle regioni occidentali non sono molte le infrastrutture presenti. Per ovviare a questo Pechino, tramite la Commissione nazionale per lo sviluppo e le riforme (NDRC), sta investendo ingenti risorse nella costruzione di aeroporti, ferrovie e strade per collegare al meglio il Paese. A una prima vista questa potrebbe essere vista una necessità per favorire lo sviluppo dei territori interni, ma in realtà la funzione militare delle infrastrutture diventerà preponderante. Ovviamente il tutto viene presentato sempre nell’ottica della difesa dell’integrità territoriale e degli interessi economici, ma in realtà quando saranno completate le riforme previste la Cina sarà dotata di forze armate di primo livello che potranno essere dispiegate in ogni parte del mondo con la velocità paragonabile a quella dei Paesi Nato. La differenza però sarà che l’Esercito Popolare di Liberazione sarà comandato da un unico organo politico collegato al Partito, ovvero la Commissione Militare Centrale (CMC) alla quale è stato dato un valore di comando strategico e congiunto. Alla CMC risponderanno i nuovi comandi regionali interforze i quali, nelle aspettative di Pechino, potranno operare come se fossero una forza armata separata. Lascia molti dubbi il fatto che queste riforme siano solamente nell’ottica di migliorare le capacità difensive, perché appare sempre più evidente il disegno imperialistico della Cina che dietro alla promozione della pace e degli investimenti nasconde mire di ben altra portata come l’annessione di Taiwan, delle isole Senkaku e di tutta l’area del mar Cinese Meridionale. Un primo passo verso il tentativo di diventare una potenza egemone?

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