Un’invasione di Taiwan da parte della Cina si concluderebbe in tre giorni con gli Stati Uniti che non avrebbero il tempo per difendere lo Stato alleato, anche a causa dell’impasse politica che si creerebbe. Un worst-case scenario analizzato dall’ammiraglio in pensione James Winnefeld -vice capo dello Stato Maggiore congiunto dal 2011 al 2015- e Michael Morell -due volte direttore ad interim della Cia- e pubblicato sulla rivista Proceedings dello US Naval Institute. Un articolo che serve principalmente per rimarcare la necessità per il Pentagono, ma in generale per la politica statunitense, di iniziare a preparare un piano efficace e condiviso per scongiurare un’invasione cinese di Taiwan.
L’invasione e le ripercussioni
Nello scenario creato viene immaginato come la Cina a gennaio 2021 possa approfittare dallo stallo politico negli Stati Uniti -creatosi a seguito della lunga riconta dei voti ordinata dalla Corte Suprema- per porre fine all’indipendenza della Repubblica di Taiwan. Un’azione rapida che metterebbe in mostra tutta la forza militare e diplomatica di Pechino che, attraverso una campagna politica e mediatica, creerebbe incertezza in Occidente. A due giorni dall’inizio dell’invasione, nello scenario ipotizzato, negli Stati Uniti il Consiglio per la sicurezza nazionale (National Security Council) sarebbe spaccato in due: chi vorrebbe inviare truppe allo scopo di difendere l’indipendenza di Taiwan e chi sarebbe disposto ad accettare l’invasione. Una divisione che lascerebbe carta bianca alla Cina che potrebbe così concludere l’operazione, rendendo -in tre giorni- inutili decenni di politica e di investimenti a sostegno del governo dell’isola di Taiwan.
Le ripercussioni, però, non sarebbero solamente locali, ma avrebbero presto una ricaduta sulla scena internazionale. Gli Stati Uniti vedrebbero, infatti, crollare la loro reputazione nelle cancellerie dei Paesi alleati, i quali si sentirebbero in pericolo da eventuali aggressioni estere essendo potenzialmente privi del sostegno di Washington. Al tempo stesso, però, un intervento militare a sostegno di Taiwan potrebbe essere comunque vano a causa della velocità dell’invasione cinese, che metterebbe gli Stati Uniti di fronte al fatto compiuto; comportando il rischio di una lunga guerra tra le due superpotenze.
Uno spunto per il futuro
Ovviamente lo scenario proposto dai due autori non ha lo scopo di fare una previsione, piuttosto è volto a proporre spunti di riflessione affinché sia possibile prepararsi a qualsiasi evenienza. Allo stato attuale delle cose è impensabile anche che la Cina sfrutti queste potenziali incertezze, avventurandosi in una campagna militare che potrebbe avere ripercussioni e reazioni diverse da parte degli Stati Uniti. Il rischio di uno scontro diretto con Washington è troppo elevato, soprattutto per via della presenza di truppe in Giappone e nelle vicine isole del Pacifico. La reazione statunitense potrebbe essere veloce e, soprattutto, con pesantissime ripercussioni a livello politico-socio-economico, andando a colpire anche la popolazione cinese.
Al tempo stesso agli Stati Uniti viene suggerito di “non sedersi sugli allori” in un’ottica di lungo periodo, continuando a mantenere una potenza militare sufficiente e appropriata nel Pacifico e in Estremo Oriente, dissuadendo così la Cina dall’intraprendere qualsiasi operazione bellica nella zona. Politica perseguibile solo e soltanto se dalla Casa Bianca rimarrà la volontà di difendere anche tramite l’uso della forza l’integrità territoriale e l’indipendenza degli alleati della regione.