Per i presidenti americani la Central Intelligence Agency, i suoi capi e i suoi agenti sono da sempre uno strumento di politica estera imprescindibile. Spesso quando il dipartimento di Stato e il Pentagono non trovano l’accordo su come far avanzare gli interessi di Washington nel mondo arriva il momento per gli uomini della Cia di entrare in azione. Ma come l’Agenzia di Langley ha davvero contribuito a plasmare le relazioni internazionali degli Stati Uniti nel secolo scorso?
La nascita del mito
Nonostante il Novecento sia stato il secolo americano stupisce che gli Stati Uniti si siano dotati di un’organizzazione ben strutturata e deputata al recupero di informazioni e segreti del nemico solo nel 1947 con un chiaro scopo: evitare alla nazione il ripetersi dello choc di Pearl Harbor. Per salvaguardare le priorità dell’America e respingere il più possibile l’avanzata dell’Unione Sovietica, l’Agenzia comincia sin da subito a far ricorso alle covert operation in territorio ostile. Una prassi ben vista da alcuni dei più importanti direttori della Cia, Allen Dulles, Richard Helms, William Colby e William Casey, i quali avevano fatto parte dell’Office of Strategic Services (Oss), l’antesignano della Cia specializzato nell’invio durante la Seconda guerra mondiale di squadre di spie e sabotatori nel Vecchio Continente.
Per l’Agenzia d’intelligence i primi risultati arrivano con i colpi di Stato pro-Stati Uniti in Iran nel 1953 e l’anno dopo in Guatemala. È il direttore Dulles, forte di questi “successi”, a convincere il presidente Dwight Eisenhower che le operazioni segrete siano il proiettile d’argento in grado di ottenere con metodi illegali i risultati auspicati in politica estera. Lo stesso Eisenhower arriva a definirla una necessità “sgradevole ma vitale”. Da Cuba all’Iran passando per l’Indonesia e diversi anni più tardi il Vietnam e il Cile, per citare solo alcuni casi, Washington scoprirà presto però che non è sempre l’opzione migliore.
Nel bene o nel male tutti i capi della Cia contribuiscono a fare la storia. Quando nel 1962 vengono registrate attività sospette a Cuba in pochi nell’amministrazione di John Fitzgerald Kennedy ritengono che l’Unione Sovietica stia davvero installando missili nucleari a pochi passi dalla Florida. L’allora direttore John McCone è l’unico ad interpretare correttamente i piani di Mosca e a convincere il presidente del pericolo di una guerra tra le due superpotenze. Nel 1979 invece Stansfield Turner non coglie gli allarmi dell’imminente rivoluzione in Iran, una debacle storica che affossa il sogno di Jimmy Carter di un secondo mandato alla Casa Bianca e le cui conseguenze sono ancora visibili ai nostri giorni.
I giochi pericolosi della Cia
Tra il 1946 e il 2001 la Cia interferisce in vari modi in almeno 81 elezioni in tutto il mondo e pianifica numerosi omicidi politici. Ai tempi della Guerra Fredda e al culmine della propria potenza, secondo Don Gregg, responsabile di una stazione Cia, l’organizzazione “aveva un’ottima reputazione e un pessimo curriculum”. Consapevole delle accuse rivolte all’Agenzia e delle trame del Watergare che avrebbero invischiato Richard Nixon, a metà degli anni Settanta Colby rende pubblici i segreti dell’organizzazione, i cosiddetti “gioielli di famiglia”. Un’operazione che secondo molti commentatori salva Langley ma fa guadagnare allo stesso Colby non pochi nemici. Nel 1996 la sua morte improvvisa sopravvenuta per un incidente in barca rimane ancora oggi uno dei più grandi misteri americani.
L’immagine della Cia come bad guy della politica estera americana viene rafforzata dal direttore Casey il quale sotto la presidenza di Ronald Reagan ingaggia una lotta senza confini contro il regime sovietico e arma i mujaheddin afghani contro Mosca. Per lui la caduta dall’olimpo avviene a causa del suo coinvolgimento nello scandalo Iran-Contras che prevede la vendita di armi al nemico iraniano al fine di convincere Hezbollah a liberare gli ostaggi americani in Libano per poi trasferire i soldi guadagnati ai guerriglieri in lotta contro il governo sandinista in Nicaragua. Le sue manovre sono considerate così spregiudicate che un senatore, dopo la morte di Casey per un tumore al cervello proprio nel momento in cui la bufera politica imperversa a Washington, chiede di vedere il suo cadavere per essere sicuro del decesso.
Una sedia che scotta
Nei primi decenni dalla sua fondazione il ruolo di capo delle spie non è particolarmente ambito in quanto considerato il capro espiatorio preferito dagli inquilini della Casa Bianca. Dopo la disastrosa invasione della Baia dei Porci Kennedy vorrebbe ridurre l’Agenzia “in mille pezzi”. Nixon attribuisce la sua sconfitta alle elezioni del 1960 ai “pagliacci di Langley”. È per questo motivo che il futuro presidente George H. W. Bush, ricevendo nel 1976 la nomina a capo delle spie, è convinto che si tratti di un espediente per porre fine alle sue ambizioni politiche.
“Un presidente non abolirebbe mai la Cia perché a quel punto non avrebbe più nessuno da incolpare” riporta il giornalista Chris Whipple. Non solo. Così facendo si priverebbe infatti di un attore strategico per le relazioni internazionali Usa. Sempre che i rapporti tra i due centri di potere siano ottimali. Nonostante sia innegabile la pericolosità delle operazioni in territorio nemico la missione più delicata dell’Agenzia era, e lo è ancora, affidata al suo direttore ogni volta che fa il suo ingresso nello Studio Ovale. Helms affermava che “non è sufficiente suonare il campanello. Devi fare in modo che qualcuno dall’altra parte lo senta”. E questo è un compito che può essere svolto da un’unica persona.