E’ la città simbolo dell’Iraq, di tutta la sua complessa storia, dell’intreccio di popolazioni e religioni che nel Paese coesistono. Mosul va strappata allo Stato islamico e le forze della coalizione guidata dagli Stati Uniti non possono a lungo attendere per riconquistarla. Anche a livello di immagine, riappropriarsi della città vorrebbe dire sancire la disfatta dei jihadisti che se ne erano impossessati circa due anni fa. Per il Califfo e i suoi uomini sarebbe una bruciante sconfitta, dopo della quale dovrebbero attendere solo un attacco verso Raqqa che infliggerebbe loro il colpo fatale.Gli Stati Uniti hanno dichiarato che le sono pronte a sferrare l’attacco per riprendere Mosul a ottobre. All’operazione parteciperanno milizie curde e sciite. Il tempo stringe, anche perché la situazione umanitaria degli oltre 600mila civili rimasti in città è sempre più deteriorata e il morale della popolazione è bassissimo. Se molti sono andati via o sono stati cacciati, soprattutto i cristiani, una parte degli abitanti è restata perché ha davvero creduto nello Stato Islamico come possibile risposta ad alcuni degli errori che il governo ufficiale ha commesso, e ai quali Isis sembrava voler riparare fornendo assistenza, servizi e opportunità di guadagno.Tra coloro che sono rimasti ci sono soprattutto sunniti e il pericolo è che la componente sciita delle milizie che entreranno in città, possa essere tentata dal compiere azioni di ritorsione per i numerosi attacchi che i jihadisti hanno inferto da sempre agli sciiti. Si sta preparando, dunque, un momento delicato ma fondamentale per riunificare l’Iraq ed eliminare la presenza di Isis, perlomeno nei grossi centri urbani.Come si diceva, all’aspetto pratico, innegabilmente importante, si aggiunge la valenza simbolica della riconquista della città. Proprio la sua caduta, infatti, aveva reso evidente che Isis rappresenta una reale e forte minaccia e che le forze armate irachene non erano pronte, allora, ad affrontarla. Queste ultime potrebbero finalmente dimostrare di essere migliorate e militarmente cresciute.Il compito di liberare Mosul spetterà, si diceva, ad una coalizione guidata dagli Stati Uniti, che comprende l’esercito iracheno, alcune milizie curde e milizie sciite. Un ulteriore pericolo potrebbe essere rappresentato dalle rivendicazioni che ognuna delle parti potrebbe avanzare dopo l’entrata in città. Mosul è infatti una realtà complessa, plurale. E’ sede delle comunità cristiane orientali e ha una presenza anche curda. Le componenti che intendono liberarla presentano tutte il rischio di volersene poi appropriare. Le milizie sciite, sostenute dall’Iran, sono state indispensabili per evitare la caduta di Baghdad, ma non presentano alcuna garanzia di poter costruire assieme agli altri un percorso democratico. I curdi potrebbero volere sfruttare l’eventuale vittoria militari per incamerare territori per se stessi.Tutto ciò porterebbe a un nuovo scontro fra le componenti irachene. Quali che siano i possibili giochi futuri, ci saranno da fare i conti prima di tutto con gli uomini del Califfo. Questi non si lasceranno sottrarre un obiettivo tanto importante senza “battere ciglio”. Ci sarà da aspettarsi una “resistenza” basata sulla guerra asimmetrica. Probabilmente, l’avanzata dei liberatori sarà molto costosa in termini umani. Di buono c’è però che, se il morale sta peggiorando per tutti, ciò vale anche per i miliziani di Isis. Molti hanno intuito le difficoltà che si prospettano e vorrebbero volentieri andare via. Tra ipotesi e speranze, l’unica certezza è che si prepara un autunno di fuoco per l’Iraq.A Mosul ma non solo i cristiani sono perseguitati, discriminati, oggetto di violenza in moltissimi Paesi del mondo. Aiutaci a raccontare questa tragedia. SOSTIENI IL REPORTAGE
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