L’Isis cambia pelle ma rimane pericoloso. È un dato che risulta riscontrabile già da diversi mesi: dall’estate del 2017 il califfato non ha più un territorio che può essere considerato come entità statale, grazie all’avanzata dell’esercito siriano nel cuore della parte centrale del Paese. Poi in Iraq si è completata la riconquista con la presa di Mosul, mentre i filo curdi dell’Sdf prendono Raqqa nell’ottobre 2017. Da lì in poi l’Isis controlla solo piccole sacche, peraltro oggi molto vicine ad essere attaccate e circondate dall’esercito siriano. E così il califfato torna ad essere quello che era già all’origine: un gruppo terrorista capace non di controllare un territorio, ma di destabilizzare un Paese con gli attentati. Un’organizzazione che, nonostante la sconfitta militare, rimane radicata nei territori e può colpire come nel caso di Manbij di pochi giorni fa

Pronta un’offensiva contro obiettivi Usa in Siria?

Certo è che il tempismo, tra l’attentato di Manbij e l’annuncio di Trump di ritirare le proprie truppe dalla Siria, non passa inosservato. Questo perchè nell’attacco rivendicato dall’Isis, muoiono anche soldati statunitensi. Ben quattro delle oltre venti vittime sono americane. “Ora l’Isis ha la possibilità di dimostrare che è ancora presente e ha l’opportunità di umiliare gli americani mentre si ritirano”, commenta al Washington Post Charles Lister del Middle East Institute. Il perchè è presto detto: in ballo c’è la vittoria nella propaganda. Se i miliziani jihadisti attaccano adesso gli Usa in Siria, proprio durante il ritiro dei soldati, allora potrebbero rivendicare la propria vittoria. In particolare, potrebbero far passare il messaggio tramite i propri mezzi di comunicazione che gli Usa si ritirano grazie alla loro azione terroristica. Oppure ancora che, di fatto, l’Isis si mostra in vita mentre i soldati americani prendono la via del ritorno.





Secondo diversi rapporti dell’antiterrorismo, l’Isis nelle zone ora controllate dai filo curdi sarebbe molto attivo. Del resto questa è una zona dove domina per almeno tre anni dal 2014 al 2017 e dove quindi, dopo la fine del califfato, riesce comunque a mantenere un proprio radicamento territoriale. L’attentato di Manbji dunque, potrebbe essere soltanto il primo di una serie dove il califfato vorrebbe far sentire ancora la propria presenza in Siria. 

L’ultima offensiva dei filo curdi

Intanto a livello di controllo territoriale, l’Isis è realmente pronto a capitolare. Le ultime sacche di resistenza jihadista ad est dell’Eufrate, sarebbero in procinto di essere espugnate dai miliziani filo curdi delle  Sdf. In tal senso, il lavoro degli americani che dal 2015 appoggiano militarmente i curdi, potrebbe davvero essere al capolinea. Oramai non c’è più alcun territorio da strappare ad un califfato crollato sia sul fronte siriano che iracheno. L’Isis è sì da temere ma, come detto prima, in ottica meramente terroristica mentre le truppe Usa vanno via. 

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Intanto qualcosa si muove anche nel deserto ad ovest dell’Eufrate. Qui l’esercito siriano è pronto a sferrare gli ultimi colpi agli ultimi gruppi dell’Isis presenti e nascosti tra le dune e le rocce di questo vasto territorio. L’obiettivo è rendere sicura tutta la zona che da Palmyra va verso la provincia di Deir Ezzor ed il confine iracheno. Da Damasco c’è chi azzarda in una possibile collaborazione con l’esercito iracheno, visto che in ballo c’è un obiettivo comune tra i due Paesi: la riapertura delle frontiere ed il ripristino dei collegamenti terrestri tra Damasco e Baghdad. 

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